Quando si parla di storia dello sport ciclistico italiano sembra che tutto sia nato con il Giro d’Italia del 1909 o al massimo con quel Giro di Lombardia del 1905 che doveva costituire uno spareggio tra Pierino Albini e Giovanni Cuniolo, contestato vincitore della Coppa del Re, e che invece fu una delle epiche vittorie di Giovanni Gerbi.
Ma già prima di quelle gare i nostri corridori avevano scritto pagine importanti di storia ciclistica. Tutto l’ultimo quarto dell’800 è disseminato di eventi, gare, sfide, contese e contestazioni che meritano di essere riportate alla luce, non solo per un senso di correttezza storica, ma soprattutto per rendere merito a personaggi che altrimenti sarebbero irrimediabilmente consegnati all’oblio.
Iniziamo col dire che i grandi corridori dell’800 erano pistard, perché era in pista che più si poteva apprezzare il mito di quell’epoca: la velocità. Nel pieno periodo della Belle Epoque gli eventi in pista sono un’occasione mondana eccezionale per celebrare quel mito assoluto che era il progresso. Così le gare diventavano la cornice di eventi mondani spettacolari che mai più si riproposero dopo quei folli anni. Uno degli eroi di quel periodo fu proprio Gian Fernando Tommaselli, bresciano di nascita e poi cremonese di adozione. Tommaselli nasce a Brescia il 28 marzo 1877 ma vive a Salò. Dalla Gazzetta dello sport del 15 luglio 1899 apprendiamo che già nel 1895, quindi all’età di 18 anni frequentava e vinceva le gare in pista. Certamente doveva essere un ottimo ciclista perché al Grand Prix de la Ville de Paris – di cui tra poco vi racconteremo la genesi – si partecipava solo a invito sulla base delle vittorie e dei cachet accumulati.
In pista a Parigi
Il Grand Prix de Paris si è svolto ininterrottamente, con esclusione dei periodi bellici, dal 1894 al 1993. La prima edizione venne corsa sul Velodrome de l’Est ma già dall’anno successivo si correrà sulla nuova pista al Velodrome de Viencennes, che dal 1987 sarà intitolato a Jaques Anquetil. La prima edizione nasce un po’ in sordina grazie alla richiesta da parte di Gustave Viterbo, segretario dell’associazione dei giornalisti del ciclismo, al Consiglio della città di Parigi dove all’epoca non c’era ancora un evento pistard di caratura internazionale, cosa che la poneva in ritardo rispetto ad altre capitali. Dopo mesi di rinvii, finalmente il Consiglio parigino accettò di mettere in palio un trofeo in bronzo del valore di 2.000 franchi che fu vinto dall’americano George A. Banker.
La gara ebbe un ottimo seguito tant’è che dal 1895 venne disputata nel neonato velodromo al Bois de Vincennes della lunghezza di 500 metri e dotato di tribune e di servizi di prim’ordine per l’epoca. La seconda edizione fu vinta da Ludovic Morin che si aggiudicò un premio di ben 10.000 franchi. A questa gara si partecipava solo se invitati e gli organizzatori, per tenere alto il livello della competizione, si rivolgevano solo ai ciclisti che più avevano vinto o che vantavano i maggiori ingaggi. La caratura dei partecipanti, l’ingente monte premi, gli eventi collaterali all’evento faranno di questa gara il più importante meeting pistard dell’anno, forse più importante dello stesso Campionato del Mondo su pista. Nella Ville Lumiere, e per giunta in piena Belle Epoque, tutte le edizioni sino al 1913 saranno contornate da manifestazioni pubbliche di grande interesse. Quella del 1899 fu certamente la più sfarzosa.
Un italiano vincitore
Il grande afflusso di persone delle prime edizioni indusse il comitato del commercio e dell’industria a organizzare, nella settimana precedente l’inizio delle gare, una serie di eventi che oggi definiremmo folli ma che ben si inquadravano nello spirito dell’epoca. Tra il 12 e il 18 giugno si organizzarono cortei di automobili fiorite che terminavano con la battaglia dei fiori, gare tra aerostati, un grande concerto con seicento musicisti provenienti da tutti i corpi militari, un corteo con oltre quattromila bambini, esposizione di bici e moto al Bois de Boulogne e infine due giorni di sfilata storica.
Poi, dal 19 giugno iniziarono le gare vere e proprie che, per i colori italiani, culminarono con le due vittorie di Tommaselli che si laureò campione del Grand Prix. La bicicletta non poteva essere che una Bianchi essendo lui dipendente della fabbrica Edoardo Bianchi. Ovviamente, nelle interviste che gli faranno, Tommaselli darà il merito della vittoria alla sua strepitosa macchina Bianchi. Proprio in quell’anno e con quella bicicletta Tommaselli vinse numerose gare nel circuito invernale che prevedeva gare in pista tra le quali Marsiglia, Orano, Tunisi, Algeri, Tolone per finire a Roma. Ma il culmine per Gian Fernando sarà nel 1900 dove, ancora a Parigi, e ancora su quella pista, vincerà il titolo di campione del mondo tandem in copia con l’olandese Meyers.
Tommaselli resterà indissolubilmente legato ad Edoardo Bianchi, infatti farà carriera proprio in quella fabbrica diventandone direttore commerciale già nel 1908 e poi direttore generale. Sarà Tommaselli assieme al Touring Club ed al Corriere della Sera ad avere l’idea di organizzare il Giro d’Italia, ma un arrabbiato Angelo Gatti – che aveva perso il posto di direttore commerciale assegnato a Gian Fernando – riferirà cosa stava bollendo in casa Bianchi alla Gazzetta dello sport e… il resto della storia la conoscete.
Tommaselli investirà i proventi del suo lavoro nell’acquisto del bellissimo fondo agricolo dell’Abbadia a Fiesco (CR) di 3000 pertiche cremonesi (250 ettari). Alla sua morte, avvenuta a Selvino il 15 luglio 1944, lascerà l’intero fondo ai Salesiani che ne faranno un importante collegio in funzione sino alla fine degli Anni ’90.