Grazie all’amico Damiano Saulig, collezionista di cimeli sportivi e autografi, siamo venuti in possesso delle memorie di Cesare Facciani, campione olimpico ad Amsterdam nel 1928 nell’inseguimento a squadre su pista assieme a Giacomo Gaioni, Mario Lusiani e Luigi Tasselli.
Delle origini di Cesare sappiamo poco. Quel che è sicuro è che è nato a Torino il 21 febbraio del 1905 da famiglia benestante. Sappiamo anche che, purtroppo, è prematuramente scomparso il 29 agosto del 1938, sempre nella città della Mole, a soli 33 anni. La sua breve storia, però, è molto interessante e conosciuta a pochi.
Facciani comincia a correre nel 1922, a 17 anni. Non essendo ancora materialmente in possesso di una bicicletta, per allenarsi e gareggiare se la fa prestare dal fratello maggiore Giovanni (pratica molto diffusa tra chi si approcciava a questo sport), che aveva anche lui corso, vincendo qualche gara. Cesare debutta come libero al Pilonetto (rione di Torino), dove l’arrivo è posto su una dura salita, arrivando sesto e precedendo avversari di fama. Vince, nell’occasione, una medaglia d’oro messa in palio per il concorrente più giovane. Forte di questa affermazione, continua a correre ottenendo ottimi piazzamenti e vincendo il campionato piemontese giovanetti e il Gran Premio della Vittoria, staccando tutti.
L’anno seguente riprende le competizioni da libero, arrivando ben sei volte secondo dietro tale Alrigo, un corridore che lo precede sempre in volata. Vince il Gran Premio Dellacà a Trofarello, la Coppa Villanovo e altre corse in provincia. Sempre nel 1923 passa dilettante, tesserato per la La Torino, e ottiene buoni piazzamenti: 5° nella Coppa Italia a squadre, 3° nella Targa Perona, 4° nella Coppa Fiat, 2° nella Coppa Aquitas e 3° nella Coppa Città di Asti vinta da Cellino.
Nel 1924 continua la sua serie positiva. Incrocia le ruote con corridori del calibro di Felice Gremo, fratello minore del più noto Angelo, vincitore della Milano-Sanremo del 1919 e della prima storica tappa del Giro del 1914, la Milano-Cuneo, con la scalata al temibile Sestriere.
Cesare partecipa a diverse preolimpiche mettendosi in mostra soprattutto a cronometro. Si vede che il ragazzo è dotato di un buon passo. Arriva a un soffio dal guadagnarsi i galloni per le Olimpiadi di Parigi del 1924 ma viene lasciato a casa per la giovane età. Gli vengono preferiti De Martini, Dinale, Menegazzi e Zucchetti e al velodromo di Vincennes sarà oro per i nostri, in finale contro la Polonia. Facciani non si perde d’animo e continua a pestare sui pedali.
Atleta alto e slanciato, buono e generoso, passa il biennio ’25/’26 soldato nel 3° Reggimento Alpini a Torino. Ottenuto qualche permesso per correre, ripaga la fiducia dei suoi superiori vincendo il prestigioso Bracciale Lancia e il Campionato Divisionale Militare. Nel 1927 sfrutta le proprie doti da passista e decide di puntare fortemente sulla pista e sulle gare a cronometro, senza però tralasciare il cross country, dove mostra ottima predisposizione.
IL MAGICO 1928
Giungiamo finalmente all’anno d’oro per Cesare: il 1928. Viene subito selezionato dall’UVI come probabile olimpionico e si mette a disposizione per gli allenamenti collegiali. La crescita del ragazzo è costante e il numero di vittorie da segnare nelle proprie agende aumenta: ben 30 corse su pista in varie discipline come omnium, handicap, inseguimento, eccetera. Ma è ad Amsterdam che Cesare raggiunge la vetta più alta della sua carriera. Il 5 agosto gli azzurri battono la Germania, il giorno dopo in semifinale hanno la meglio sulla Gran Bretagna e poi la finale contro i padroni di casa, i tenaci olandesi. Compiono i 4000 metri in 5′ 06” 1/5, distanziando i favoriti di casa di 30 metri. Guidati da Gaioni, senz’altro il migliore, Facciani “impetuoso e rapido”, Lusiani “energico e ostinato”, Tasselli “tenace e battagliero” vincono l’oro olimpico, continuando così una tradizione che ci ha visti sempre protagonisti in pista.
Così riporta la cronaca di quel giorno: «Gli italiani partono meglio degli olandesi. È Gaioni che conduce il primo giro a velocità notevole, conquistando 5 o 6 metri sugli avversari. La partenza è velocissima. Il vantaggio rimane invariato anche durante le frazioni condotte da Lusiani e Facciani. Quando conduce Tasselli, la nostra squadra perde però un poco di terreno ma Gaioni riporta gli azzurri in vantaggio al quarto giro; poi è ancora Tasselli che perde terreno. A sua volta un uomo della squadra olandese perde contatto, ma riprende con uno sforzo sovrumano i compagni. La lotta è palpitante. Il nostro uomo migliore è sempre Gaioni. Al 6° giro gli italiani hanno ancora tre metri di vantaggio. Gaioni a questo punto rimane al comando per circa un giro e mezzo e porta i compagni a un vantaggio di oltre una decina di metri. Poi Tasselli ha un buon quarto di frazione e il nostro vantaggio sale a 25 o 30 metri. Tasselli, dopo questo sforzo immane, abbandona come era nei piani la nostra squadra, che rimane con tre uomini. Ma oramai la gara è vinta; il vantaggio è consolidato e portato a una trentina di metri. Al colpo di pistola la nostra squadra trionfa».
Scrive l’indomani Emilio Colombo sulla Gazzetta dello Sport: «Anche ai ciclisti, rudi, semplici, sublimi rappresentanti dello sport popolare, l’onore del pennone. Due volte il Tricolore d’Italia, che gli sportivi nel nome del Duce cercano, con alterna fortuna, ma con ardore e fede indomabile di onorare in terra straniera, si è levato oggi sull’antenna olimpionica. E i nostri cuori, ebbri di gioia, dopo tante amarezze e dopo tutte le trepidazioni, hanno esultato. Vincitori ad Anversa, vincitori a Parigi, i nostri atleti hanno trionfato ad Amsterdam».
Dopo l’oro olimpico, Facciani continua a dedicarsi alla pista, monetizzando con partecipazioni sui più rinomati velodromi d’Europa, soprattutto in Francia dove è particolarmente apprezzato. Nel 1930 vince a Valperga e a Cagliari, ma le sue frequentazioni su strada sono sempre meno. È la pista che ha conquistato il suo cuore.
CON BERTOLAZZO
Anno di svolta il 1931. Passa professionista e oltralpe corre per i colori della prestigiosa Alcyon-Dunlop. Si stabilisce a Nizza, in compagnia di Pierino Bertolazzo (che per motivi poco chiari la stampa e i manifesti citano come “Bertolazzi”). Quella che Bertolazzo andrà a formare con Facciani sarà prima di tutto una coppia di amici, di atleti e poi di uomini d’affari. I loro nomi figureranno nei cartelloni delle riunioni in pista di Parigi, Marsiglia, Nizza, Nantes. Le loro ruote scorreranno veloci nei rinomati velodromi di Liegi, Ginevra e persino Casablanca! “FaccianiBertolazzi”, praticamente un tutt’uno. Soprattutto in Francia, dove verranno chiamati i “Diavoli Bleu” dal colore della loro maglia Alcyon. Nei manifesti i volti seri e sereni dei due ragazzi: uno in maglia bianca, collo alto, lo stemma sabaudo e il fascio dentro ai cinque cerchi (stranamente capovolti); l’altro (Bertolazzo) sempre con maglia bianca, scollo a V e fasciato dall’iride a ricordo del Campionato del Mondo Dilettanti conquistato nel 1929 a Zurigo.
Disputano sei giorni, individuali, americane, omnium, australiane, con vittorie di prestigio anche contro Girardengo. Ma Cesare non ha dimenticato la strada, ne subisce ancora il fascino e, forte di un’ottima condizione, giunge quarto nella corsa in salita sul Mont Faron. Si iscrive al Giro del Piemonte, la classica nata nel lontano 1906 che ha visto trionfare nelle prime tre edizioni il Diavolo Rosso, Giovanni Gerbi. Nel ’32, come nell’anno precedente, gli organizzatori decidono di far disputare la gara a tappe (sei) ed è nella Novara-Vercelli che Facciani, da portacolori della Dopolavoro Fiat Torino, coglie una delle vittorie più prestigiose della carriera.
Nel ’33 disputa anche il Giro d’Italia, quello vinto da Binda, il suo ultimo, sul belga Demuysere e su Piemontesi. Facciani non è tra i 52 “accasati” bensì tra i 46 “isolati,” ed è in questa particolare categoria che si distingue. Vince infatti nella Chieti-Ascoli il premio Pelikan per il brillante comportamento di tappa e a fine Giro giunge ventiquattresimo nella generale.
DECLINO INESORABILE
Ma oramai la carriera del giovane Facciani sta volgendo al termine, e purtroppo anche la sua stessa vita. Nel 1934, dopo aver preso parte con Bertolazzi a ben 42 riunioni, torna a Torino, ma comincia a sentirsi stranamente stanco. Con l’immancabile storico socio di tante battaglie, decide di aprire in Corso Regina Margherita 100 un negozio di biciclette e articoli sportivi denominato Cicli Fulgor. Purtroppo l’attività dura poco, sia per i problemi di salute di Cesare, sia per lo scarso senso degli affari dei due soci. Il destino crudele bussa alla porta del povero Cesare che, sempre nel 1934, a seguito di una sei giorni funestata dal maltempo, comincia a respirare male. Negli Anni ’30 era difficile diagnosticare con precisione i disturbi e le malattie, così il povero Facciani peggiora di giorno in giorno, di anno in anno. A nulla servono le cure approssimative e le lettere di conforto che gli giungono al capezzale. Persino il grande Girardengo si preoccupa della salute del collega. Il 7 aprile del 1937 dalla sua Novi scrive la lettera che pubblichiamo in queste pagine, ma l’ora del campione olimpico è tristemente giunta.
Cesare Facciani di spegne il 29 agosto del 1938. Della sua dipartita e delle onoranze funebri ci sono giunte alcune rare fotografie, che testimoniano quanto fosse benvoluto in quella che fu, nel 1861, la prima Capitale d’Italia. Nel maggio del 2015 il comune di Torino gli ha dedicato un’area verde e noi, con questa breve storia, abbiamo cercato di rinverdirne la memoria. La sua, così come quella dei suoi tre compagni che in una giornata d’estate del 1938 fecero sventolare il Tricolore nei cieli d’Olanda.
L’amico pierino
Facciani fece coppia fissa per una buona parte della carriera con Pierino Bertolazzo, un personaggio che merita di essere ricordato sia grazie alla testimonianza del figlio Franzi, che abbiamo raggiunto al telefono, sia grazie al libro “Frejus” di Massimo Rubeo, che ne cita le gesta. Nato a Vercelli nel 1905, dopo il Mondiale di Zurigo (1929) rischierebbe di vincere l’anno successivo a Liegi, se non forasse a pochi chilometri dal traguardo, quando è in fuga con Martano che poi si aggiudica la prova. Corre professionista dal 1931 fino al 1933. Chiusa la parentesi legata alla gestione di un negozio (di cui parleremo più avanti) insegna anche violino al liceo classico. Grazie al giornalista Giuseppe Ambrosini (autore del famosissimo “Prendi la bicicletta e vai”) inizia a lavorare al quotidiano La Stampa, prima come autista e poi come ispettore alle vendite. Sempre per il quotidiano, negli Anni ’30, viene inviato in Spagna a documentare la guerra civile. Nel 1947 gli viene affidata come Commissario Tecnico la Nazionale dilettanti e subito vince con Alfo Ferrari a Reims. Nel 1948, dopo le Olimpiadi, diventa Direttore Sportivo della Frejus, poi della Ignis e quindi della Cynar. Muore per un infarto il 14 febbraio del 1964. Franco Balmamion ancora adesso racconta, con gratitudine e rispetto, che con lui al fianco forse la sua carriera sarebbe stata diversa.