Il Canavese è quella piccola parte del Piemonte che sorregge la Val d’Aosta.
Gli abitati principali sono Ivrea, Caluso, Cirié, Cuorgnè e Rivarolo Canavese. Ebbene, questa minuscola porzione del territorio italiano può vantare sei Giri d’Italia vinti, molta storia a pedali e vari campioni.
Il primo grande campione che possiamo dire quasi “dimenticato” è stato Giovanni Brunero nato nel 1895. Fu un eccelso scalatore capace di mettersi in luce nell’era del “Campionissimo” Girardengo e del “Trombettiere” Binda. Brunero fu vincitore di ben tre Giri d’Italia (1921, 1922, 1926) e numerose classiche tra cui la Milano-Sanremo e due Giri di Lombardia. Dotato di grande resistenza e di acume tattico, può essere indicato come il prototipo del corridore da corse a tappe in quanto forte in salita e quasi imbattibile sul passo. Brunero fu un ottimo corridore. A chi sosteneva che fosse stato il primo a vincere per tre volte il Giro, Carlo Galetti – con ragione – rispondeva: «L’era bravo el Giuanìn, l’era bravo, ma tre Giri per primo li vinsi io». Il fisico di Brunero non pote’ pero’ vincere la gara piu difficile, una grave malattia che lo portò via alla giovane età di 39 anni.
GLI ANNI ’20
Durante l’era Brunero dobbiamo ricordare Giuseppe Enrici, nato come tanti da genitori emigrati negli Stati Uniti ma cresciuto ciclisticamente nel Canavese. Vincitore di un Giro, nel 1924, fu boicottato dai grandi campioni e dalle case ciclistiche per questioni economiche (snobbato a causa del suo ingaggio). Otto corse nel suo palmarès, anche in Costa Azzurra dove si stabilì per una serena vecchiaia.
Negli Anni ’20 si mette in mostra anche Secondo Martinetto autore di numerosi piazzamenti importanti e di un primo posto negli isolati (ovvero quei corridori privi di squadra che correvano da indipendenti) al Tour del 1927. Si racconta che sulle strade del Giro sua madre lo riforniva sempre con una frittata di trenta uova! Negli Anni ’60 darà vita a un veloclub dove il suo compaesano più noto, Franco Balmamion (di cui parliamo in seguito) muoverà i primi passi.
Più o meno negli stessi anni dobbiamo segnalare Egidio Picchiottino 3° alla Sanremo 1926 e 7° al Giro d’Italia 1927. Negli anni a seguire il Canavese vide appunto l’avvento di Ettore Balma Mion, detto “Maginot” o “lo zio della Cina” a causa dei suoi tratti orientali. Corridore grintoso che dava battaglia fino allo sfinimento, osava sfidare i big con la frase «Coursa l’è coursa!» e fu 5° al Giro 1931. Numerosi furono i problemi all’anagrafe legati al cognome, scritto Balma Mion ma riportato sempre tutto attaccato, al punto che il nipote Franco, anch’egli corridore di successo, lo cambiò definitivamente in Balmamion. Coetaneo di Ettore Balma Mion fu Edoardo Molinar di Rocca Canavese. Grandissimo scalatore con una predilezione nei tratti brevi e secchi, fu il primo italiano nella storia della Vuelta a vincere una tappa e la maglia del miglior scalatore.
LA FINE DI UN’EPOCA
Tra i corridori canavesani ci furono anche due gregari del Campionissimo Fausto Coppi nella Carpano: Giuseppe Belli e Antonio Davitto, nativo di Vauda di Rocca, una piccola borgata di 100 persone, che fu poi costretto ad abbandonare a causa di un incidente. I primi Anni ’60 furono il canto del cigno del Canavese. L’ultimo campione fu il già citato Franco Balmamion, vincitore di due Giri d’Italia – ’62 e ’63 – senza vincere una tappa, che ereditò la passione dallo zio Ettore. Regolarista eccelso, aveva una buona visione di corsa abbinata all’astuzia e a un gran recupero. Franco fu vincitore anche di grandi classiche (Milano-Torino, Giro dell’Appennino) e autore di tanti ottimi piazzamenti dovuti anche a uno sprint buono ma non troppo brillante che gli permetteva di giocarsi gli arrivi in volata senza però riuscire ad affermarsi con continuità.
Anche se i professionisti affermati mancano da ormai parecchi anni, il Canavese vibra ancora per il ciclismo, come testimonia la ciclostorica “La Canavesana”, inserita nel GIDE. La speranza di chi via abita – come chi scrive – è che possano nascere ancora campioni del pedale in questa terra dove c’è poca pianura e tanta passione ciclistica.
A cura di: Luca Fornello