Il 2022 vede due anniversari incrociarsi: i 130 anni della nascita di Tazio Nuvolari e i 120 anni di Learco Guerra.
L’abbinamento apparentemente casuale in realtà non lo è. Entrambi della provincia di Mantova, sono legati da una comune radice sportiva. Per Tazio, infatti, la bicicletta è già in casa, passione comune del padre Arturo e dello zio Giuseppe. Learco, invece, la scoprirà più tardi. Tazio (1892) è il quarto figlio di Arturo (1863). Papà Nuvolari è bracciante agricolo di Castel d’Ario, ma è soprattutto un ciclista con all’attivo qualche vittoria di prestigio (campione italiano bicicletti junior). Il punto più alto della sua carriera ciclista lo raggiunge nel 1893, al Campionato Italiano su strada (ad Alessandria) dove si classifica secondo.
Fratello di Arturo è Giuseppe (1871), ciclista professionista tra il 1894 e 1904 e grande ispirazione per Tazio (da lui ebbe in regalo, a sei anni, una piccola bicicletta). Più volte campione italiano, partecipa, con successo anche all’estero, nella velocità su pista e nelle primissime gare di mezzofondo dietro motori. Per quasi 10 anni Giuseppe si dimostra un ottimo mezzofondista. Tra i precursori della specialità ha cominciato a gareggiare sull’esempio del fratello Arturo. Ricorda Gregori sulla Treccani: «Due nomi famosi scendono in gara per l’Italia a Londra nei Mondiali del 1904: Gerbi e Giuseppe Nuvolari. Gerbi, 19 anni, cade rovinosamente nel mezzofondo professionisti. Nel mezzofondo dilettanti Nuvolari, 33 anni, finisce quarto». Anche Arturo pedala talvolta all’estero, come nel 1893 quando, sempre insieme al fratello, domina la riunione ciclistica internazionale di Nizza. Coetaneo dei fratelli Nuvolari è Francesco Verri, che a Ginevra nel 1906 conquista la vittoria nella velocità dilettanti. Nello stesso anno Verri vincerà anche tre ori ai Giochi Olimpici intercalari di Atene. Questi citati sono tutti ciclisti mantovani o delle zone limitrofe (Diavolo Rosso a parte). Sempre dai dintorni di Mantova (San Nicolò Po) arriverà Learco Guerra.
In casa Nuvolari si respira spirito di competizione, ma per Tazio più che dalla bicicletta il senso di velocità è dato dalle moto. Sarà proprio lo zio Giuseppe a metterlo per la prima volta su una motocicletta e insegnargli a guidarla. Il 5 settembre 1904 assiste per la prima volta a una corsa automobilistica, il Circuito di Brescia, che si disputa su un tracciato stradale che tocca anche Cremona e Mantova. Tazio vede in azione i grandi assi dell’epoca (Vincenzo Lancia, Nazzaro, Cagno, Hémery, Duray). Rimane ammaliato dallo spettacolo della velocità.
Per il fatto di sapere guidare, durante la Prima Guerra Mondiale viene assegnato come autista delle ambulanze della Croce Rossa. In taluni casi conduce anche camion e vetture degli ufficiali. In una di queste occasioni (1916), con a bordo un colonnello, finisce fuori strada. Sarà malamente apostrofato dal superiore che l’automobile non sia cosa per lui. Dopo la guerra riprende la sua attività di pilota e sarà autore di imprese automobilistiche memorabili. «Un uomo senza paura», lo definì Enzo Ferrari. Di Nuvolari disse Ferdinand Porsche: «Il più grande pilota del passato, del presente e dell’avvenire». Il regime fascista, come farà in seguito con Learco, ne esalterà le doti di temerario e invincibile.
I primi incontri
L’incontro tra un già affermato pilota automobilistico e un esordiente ciclista lo possiamo datare 1928. L’anno prima infatti Learco Guerra si trasferisce dal paese in città. Lavora nell’impresa edile di famiglia che ha avuto l’appalto per la nuova ala dell’ospedale, ma nel tempo libero si dedica al ciclismo. Si allena quotidianamente due ore in bicicletta prima di andare al lavoro. La prima bicicletta non è propriamente tale, ma un vecchio tandem che durante il giorno usa insieme a papà Attilio per andare nei cantieri. Gino Cervi scrive: «Eppure Learco non smette di pensare a quegli aitanti ciclisti che corrono nel Pedale Mantovano, o per la 23a Legione Bersaglieri del Mincio; e ai campioni locali di cui legge sulle pagine dei giornali. Alfredo Donini e Spartaco Boselli; Giacomo Gaioni e Aimone Altissimo; e Armando Maggiori, che nel 1927 corre il Giro da indipendente. Learco sente che, in sella a una bicicletta, non sfigurerebbe al loro confronto. Ma restano solo sogni».
Nell’autunno del 1927 è stato presentato a Ferruccio Gatti, presidente della società sportiva della 23a Legione Bersaglieri del Mincio, affiliata alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. La stessa società alla quale è stato iscritto anche Tazio. Gatti si trova davanti un ragazzone di sostanza, con mani nodose da muratore, ma che non ha mai corso in bicicletta. Gli domanda perché volesse cominciare a correre a venticinque anni. Guerra, con semplicità, gli risponde: «Cosa vuole: non ho potuto farlo prima». All’inizio per Learco sono solo piazzamenti, poi la prima vittoria (l’eliminatoria lombarda della Coppa Italia) e quindi il Giro della Provincia di Ferrara. Il premio di 1200 lire risponde in qualche modo ai dubbi della famiglia, che non vede di buon occhio la passione ciclistica trasformata in professione. Comincia a essere conosciuto. Di lui scrive anche Emilio Colombo sulla Gazzetta: «Atleta solido, ben piantato, munito di un fiato rimarchevole. Potrà certamente fare qualcosa». Due vincenti nella Legione, impossibile non conoscersi. L’11 marzo 1928 (nove giorni dopo la nascita del suo secondo figlio Alberto) Tazio vince il GP di Tripoli. È questo il suo primo importante successo internazionale.
ENTRAMBI VINCENTI
Guerra mette in mostra le sue doti anche in pista. Nell’inverno del 1930 riesce ad avere un ingaggio per Parigi grazie al masseur Fusti, che lo indirizza a Fabio Orlandini, allora corrispondente dalla Francia per La Gazzetta dello Sport e uomo di sport. Poi c’era la Maino che, su suggerimento di Girardengo, lo ha ingaggiato per contrastare il ciclista numero uno in Italia, Alfredo Binda. Seguono imprese ciclistiche di rilievo, come tappe al Tour de France (due volte secondo nella classifica finale) e al Giro d’Italia. Diventa Campione italiano per cinque anni di fila (dal 1931 al 1934). Vince la Milano-Sanremo del 1933. Intanto Tazio sta già facendo brillare la sua stella alla Mille Miglia, nei circuiti, contro tedeschi, italiani e i più forti piloti europei.
Tazio e Learco si frequentano con le famiglie fuori dalle competizioni. Anche se entrambi adesso girano il mondo, la comune radice mantovana li accomuna e ne stringe l’amicizia. Tra i due spunta anche l’idea di una sfida che, come racconta Marco Pastonesi, fu: «[una] sfida mancata con Tazio Nuvolari, trenta chilometri in auto e dieci in bici, ma Tazio voleva allungare la frazione in auto e accorciare quella in bici, Learco allungare la frazione in bici e accorciare quella in auto».
Alcune date delle loro vite sportive si intrecciano, come quella del 10 maggio 1931. Tazio è in Sicilia per la Targa Florio. La corsa vive sul duello tra Tazio (Alfa Romeo) e il giovane Achille Varzi (Bugatti). Nuvolari vincerà la gara, mentre Varzi sarà terzo. Learco è impegnato invece nella prima tappa del Giro d’Italia (Milano-Mantova). Batte in volata il campione del mondo Alfredo Binda e indossa la prima maglia rosa. Quel 1931 vedrà poi la Locomotiva Umana vincere il Campionato del Mondo in Danimarca, nell’unica edizione disputata a cronometro (171 km). Ma la vita di Nuvolari è segnata anche da una serie di lutti che ne mettono a dura prova l’animo. Nel 1937 muore il primogenito Giorgio. L’anno successivo si spegne il padre Arturo.
Poi la guerra e il dilatarsi infinito che questa comporta. Quando Tazio riappare in scena, nel 1946, sembra stanco e invecchiato. Ha 54 anni e la salute non è delle migliori. I gas di scarico delle vetture gli danno un forte senso di nausea. È ulteriormente provato dalla morte del secondo figlio, Alberto (11 aprile). Ciononostante un mese dopo è in pista a Marsiglia. È tornato alle corse per gettarsi alle spalle tutte le sventure. Dà spettacolo, segna il giro più veloce, ma rompe il motore della sua Maserati. Si aggrappa alle corse per sopravvivere, anche se molti pensano che cerchi invece come antidoto alla disperazione una soluzione non meno disperata.
In Francia
L’amicizia tra i due sportivi continua anche nel dopoguerra. In particolare, quando Guerra viene inviato in Francia per la Ronde De France (Bordeaux-Grenoble, 10-14 luglio 1946), anticipo del futuro Tour de France, e come CT della Nazionale italiana riceve la visita del pilota. Nella terza tappa, a Montpellier, riporta La Gazzetta dello Sport: «Nuvolari che doveva recarsi ad Albi, dove il coraggio e l’abilità dell’asso del volante si affermavano, poi, con una Maserati allargando così le proporzioni del successo dello sport italiano in Francia, ha voluto appositamente recarsi alla partenza della quarta tappa, assieme al modenese Testi, a salutare il suo amico e conterraneo Learco e tutti i valorosi corridori italiani, cui ha espresso parole augurali di rallegramento».
Di questo incontro abbiamo un cenno anche da parte di Alfredo Martini: «Venne a trovarci Nuvolari che era in Francia per delle prove. Lui era l’automobilismo come Girardengo era stato il ciclismo. Mi ricordo quest’omino piccolissimo, con due occhi di fuoco». Sembra quasi di sentire Lucio Dalla che descrive Nivola – soprannome di Tazio – nella canzone omonima che gli ha dedicato: «Nuvolari ha la maschera tagliente, di morire non gli importa niente… Nuvolari è cinquanta chili d’ossa, tre più tre fa sempre sette!»
Della trasferta ad Albi citata dalla Gazzetta abbiamo anche il risultato: Tazio vince su Maserati 4CL come privato, dominando la prima manche e arrivando secondo nella seconda, lasciando gli altri piloti a un giro. Quattro Maserati ai primi quattro posti. Un trionfo tutto italiano se pensiamo che anche Guerra conclude vittorioso la Ronde con Bresci. L’astro di Tazio è ormai al tramonto. Ha segnato un’epoca dello sport e della società italiana prima della guerra. Altrettanto Learco, prima possente antagonista di Binda e poi illuminato direttore sportivo e dirigente. I due amici si spengono a 10 anni esatti l’uno dall’altro. Nuvolari nel 1953, mentre Guerra nel 1963. Per un certo periodo i due hanno condiviso anche una casa comune, il Museo a Mantova. Ora nella città lombarda sopravvive quello di Nivola, mentre quello di Learco sta cercando ancora fissa dimora
Foto: Archivio Fotografico Carlo Delfino