In un’Italia di inizio secolo, quella del ‘900, ancora fortemente legata alle sue umili origini, il ciclismo è rivoluzione. Apre a un modo nuovo di guadagnarsi da vivere, anche se la fatica è la stessa dei campi o dei muratori. Secondo il censimento del 1901 gli italiani sono circa 33 milioni ma votano in meno di due milioni alle elezioni del 1909, dove il liberale Giolitti mantiene la carica governativa.
La bicicletta sta diventando il mezzo di locomozione per il popolo e i campioni del ciclismo sono i nuovi eroi. I cavalli di ferro però sono tutt’altro che docili: pesano una quindicina di chili, hanno un unico rapporto e un freno, detto “a tampone”, che preme direttamente sul copertone della ruota anteriore. Una bicicletta costa circa 100 lire, quando un operaio in quel periodo ne guadagna 2 al giorno. Le biciclette in circolazione sono circa 600.000 e il mercato ne richiede sempre di più. Ovunque si aprono fabbriche e botteghe di biciclette. In questo contesto sociale e imprenditoriale sboccia una nuova rosa: l’Atala.
La marca italiana più nota in quel momento è la Bianchi, di Edoardo Bianchi che ha già messo sul suo stemma la corona reale, quale fornitore della casa regnante, sul finire del secolo precedente. Quando, nel 1908, giunge il momento di designare il suo successore all’interno della fabbrica Edoardo sceglie Gian Fernando Tommaselli. Bresciano di Salò Tommaselli è uomo di sport. Nel 1900, a Parigi, aveva vinto il titolo mondiale nel tandem con l’olandese Meyers.
Una volta entrato in carica, narra la leggenda, Tommaselli avrebbe proposto ad Angelo Gatti, già dirigente Bianchi e personaggio molto influente nel mondo del ciclismo, la gestione del reparto corse e quella commerciale dei nuovi modelli. In seguito, però, non mantiene la parola data. A Gatti non resta quindi che lasciare la Bianchi, ma non il ciclismo. Sempre nel 1908 costituisce una società, la ditta Gatti & Pellini, e registra il marchio Atala (il nome è un omaggio alla madre, Atala Naldi) con l’intento di muovere guerra commerciale alla Bianchi.
MARCHIO DA CORSA
Gatti ha dalla sua la conoscenza diretta dei corridori, che lo chiamano familiarmente “Micio”. Ha capito da tempo che per vendere bisogna investire nelle corse di ciclismo. Sul piano commerciale l’importanza di una vittoria val più d’ogni altro mezzo propagandistico. L’investimento più sicuro è quello di accaparrarsi i migliori ciclisti del momento e farli correre in una grande manifestazione sportiva. In quel momento, i migliori italiani sono Luigi Ganna, Carlo Galetti, Eberardo Pavesi ed il Diavolo Rosso Gerbi.
Nel libro di Gianni Brera “Addio, bicicletta”, Pavesi racconta la sua esperienza di corridore in quegli anni. Pavesi, tramite Brera, ricorda: «[Gatti] Ha un’ammirazione sconfinata per Ganna e darebbe i numeri per averlo con sé. Ci riesce scritturando Pavesi. Il quale consiglia di completare la squadra con Danesi, buon passista veloce, e Bruschera, scattatore miracoloso, pistaiolo emerito, intrallazzista di prima riga e, soprattutto, buon diavolo. […] Partiamo per la Sanremo in centocinquanta. Noi si è già firmato il contratto con l’Atala: Gatti ci dà uno stipendio (cinquanta lire al mese). E darebbe l’anima se potessimo esordire con una vittoria tanto prestigiosa. […] Ganna resiste al treno infernale della partenza, attacca a sua volta alle rampe del Turchino. Ma spezza la catena, e io gli passo la macchina. Deve scassare in seguito anche la mia, perché su Voltri arriva con una incredibile mula a manubrio alto e tromba di avvertimento con la pera di gomma. Così a Sanremo vince Van Hauwaert e Ganna, pur monumentale, è secondo». Una quasi vittoria che fa bene alla nascente Atala, ma Gatti ha bisogno di entrare maggiormente nel mercato italiano.
Il 5 agosto, in qualche modo, viene a sapere che il Corriere della Sera, nell’intenzione di ripetere il successo del Giro d’Italia automobilistico, insieme al Touring Club Italiano e alla Bianchi, vuole lanciare il Giro d’Italia ciclistico sulla linea di quanto fatto da Desgrange in Francia col Tour. Gatti passa l’indiscrezione all’amico Tullo Morgagni, giornalista e socio della Gazzetta, che convoca d’urgenza Eugenio Camillo Costamagna, il direttore del quotidiano rosa, e Armando Cougnet, il caporedattore della sezione ciclismo (in quei giorni entrambi in ferie), con due telegrammi dall’identico contenuto: «Improrogabili necessità obbligano Gazzetta lanciare subito Giro d’Italia. Ritorna Milano». Il 24 agosto 1908, qualche giorno dopo il consiglio dei tre, La Gazzetta dello Sport annuncia con un vistoso titolo l’organizzazione del Giro per il 1909. Gatti è riuscito a scalzare la Bianchi dal suo stesso progetto di essere la marca organizzatrice della corsa e ha gettato le basi per le sue fortune.
LE PRIME VITTORIE
Nella primavera del 1909 la squadra partecipa alla Milano-Sanremo, una sorta di rivincita dell’anno precedente. Ganna si è preparato bene in Riviera (a Varazze) ed è deciso a vincere. Il regolamento è stato modificato e permette adesso di cambiare le biciclette in corsa. Luison ne approfitta e ne prepara tre: la prima per il percorso in pianura da Milano a Ovada, la seconda per scalare il Turchino e i dislivelli lungo il mare fino a Capo Berta, e la terza da pianura con un rapporto 46×14 per il il finale. Il 4 aprile Ganna fa la differenza già prima del Turchino, dove transita da solo. Nevischia e il corridore dell’Atala cade in discesa. Viene raggiunto e superato da Georget. Ma Ganna non demorde e lo recupera a Savona, staccandolo. Vince con 3′ di vantaggio su Georget e 18′ su Cuniolo e Van Hauwaert. Motteggia Brera/Pavesi: «Alla forma migliore, Luison perviene nel ‘909. Allora non c’è barba di francese che tenga. E la ‘Sanremo’ se la vince facile. Non rompe la macchina, non fora, non si congela. Van Hauwaert, che è tornato per la rivincita, viene staccato senza remissione. […] E la mia fatica non è tanto correre quanto seguire lui, che ne ha bisogno». È la prima grande affermazione della giovane squadra dell’Atala. Gatti va in estasi.
Anche al primo Giro d’Italia la squadra dell’Atala è affidata al capitano Luison Ganna. Non ne fa parte Galetti che è passato alla Rudge. La Bianchi scende in campo in forze: “Baslòt” Rossignoli, Gerbi, Petit-Berton, l’uomo che ha già vinto il Tour. Pavesi è costretto al ritiro per un attacco di appendicite ma Ganna è nettamente il più forte e ben supportato da Gatti. Ricorda Pavesi: «[Ganna] Così vince il primo Giro d’Italia, che nessuno più di lui meritava di iscrivere nel proprio libro d’oro». L’Atala fa suo il primo alloro del Giro d’Italia.
I Moschettieri però sono solo in due. Galetti è migrato alla Rudge, ancora offeso con Ganna e Gatti, il quale non ha insistito per prenderlo quando ha messo su la squadra. «Siamo i moschettieri per i giornali e per la gente. Siamo popolari e simpatici, ma non se ci dividiamo. […] Se siamo insieme non ci batte il diavolo», racconta Pavesi. «Mi sono proposto di riportarlo [Galetti] con noi e Gatti mi ha concesso carta bianca. Che poi me la sbrighi io con quei due galli». Pavesi alla fine rimette insieme i Moschettieri che ritrovano l’unità correndo e fanno gruppo anche nei confronti di Gatti.
All’alba del Giro del 1910 è tempo di ridiscutere il contratto: «[…] Redigiamo fior di contratto per 24.000 lire da dividere in quattro se vinciamo (Ganna, Galetti, Bruschera e Pavesi); più mille lire a ogni vittoria di tappa. Gatti scribacchia alla brava e vorrebbe firmassimo. ‘Un momento’, dice Pavesi. ‘Specifichi per favore: seimila a testa qualora uno di noi quattro vinca o sia alla pari con altri. Perché può finire anche alla pari’». L’Avocatt si mostra già previdente e lungimirante.
GIRO D’ITALIA 1910
Il Giro d’Italia del 1910 è più lungo (2987 km) rispetto al precedente, si svolge dal 18 maggio al 5 giugno e vede alla partenza molti stranieri. Tutte le squadre hanno adottato una propria maglia distintiva: grigio-blu l’Atala (Ganna, Galetti), arancione l’Atena (Ernesto Azzini), bianco-blu la Bianchi (Cuniolo), rossa la Legnano (Petit-Breton, Dortignacq, Albini), verde la OTAV (Rossignoli), bianca con striscia rossa la Stucchi (Micheletto); bianca gli individuali.
Nella prima tappa (Milano-Udine, 388 km) Ganna fora a Ospitaletto e i rossi di Petit-Berton attaccano distanziandolo. Luison si lancerà all’inseguimento, però forerà entrambe le gomme. Sarà costretto a una cronometro di 300 km. Arriverà a Udine 21°, a 24’. La tappa è vinta da Ernesto Azzini, ma sette corridori vengono squalificati per aver preso il treno. Nella seconda tappa (Udine-Bologna) i francesi conquistano la prima vittoria al Giro con Dortignacq. Petit-Breton è terzo, Menager quarto. Carlin Galetti, secondo, va in testa alla classifica. I Legnano francesi non sono soddisfatti e attaccano briga con i grigiblu dell’Atala. I due gruppi se la sono promessa. Nella terza tappa (Bologna-Teramo) quando a Petit-Breton si staccano i raggi della ruota, e perde 25’ per riparare la bicicletta, c’è la resa dei conti. Galetti, Ganna e Pavesi lo attaccano. L’inseguimento sarà vano. All’arrivo il francese avrà un ritardo di 22’ e sarà quarto. La corsa si tinge di giallo. Ancor di più il giorno dopo quando, nella quarta tappa (Teramo-Napoli), con il tappone appenninico col Macerone, l’intera squadra dell’Atala è colta da coliche. Sembra un avvelenamento fatto a bella posta. Pare, invece, che la sera prima una conserva di pomodoro avariata sia stata fatale. Petit-Breton attacca con i suoi fin dal via. Ganna, a pezzi, si stacca subito. Il francese, però, rompe tre viti dell’ingranaggio centrale. Fa 14 km a piedi per raggiungere L’Aquila dove accusa un ritardo di 1 ora e 53’. Si ritira. Intanto i suoi Legnano hanno dominato la tappa. Nel fango Brocco scavalca da solo le montagne, ma sbaglia strada. In seguito a una frana crolla un ponte e il percorso della corsa è dirottata su strade secondarie. Albini lo raggiunge ad Aversa e lo batte, terzo è Dortignacq. Galetti, quarto, mantiene saldamente il comando del Giro.
“Carlin” non gode della popolarità di Gerbi e degli altri. Corre sempre da ragioniere, in modo estremamente regolare e questo non lo fa brillare agli occhi dei tifosi. Aveva la fama del “ciucciaruote”. In realtà era capace di adeguarsi a ogni andatura per vincere d’astuzia ma anche di un coraggio ragionato e (sono parole di Pavesi) di un’impensabile generosità. In questa tappa si registrano molte irregolarità; del resto la maggior parte dei corridori, come Brocco, ha sbagliato percorso. La Legnano pretende l’annullamento non solo di quella tappa, ma anche della precedente. Ciò, però, permetterebbe di rimettere in corsa Petit-Breton e l’Atala si oppone. A seguito delle successive polemiche la Legnano decide di abbandonare la corsa. L’Atala ha via libera per conquistare il secondo alloro. Galetti è in testa alla classifica e, anche se in forte ritardo, Ganna è in gran forma. Nelle ultime sei tappe, ne vincerà tre e sarà sempre sul podio.
La squadra di Gatti si aggiudica ben sette tappe su dieci e conquista tutto il podio (primo Carlo Galetti, secondo Eberardo Pavesi e terzo Luigi Ganna), alimentando, tramite Costamagna, il mito dei Moschettieri (Pavesi impersona Athos, mentre il ruolo di D’Artagnan spetta in questa occasione al più robusto e combattivo Ganna). Terminata la stagione c’è da riscuotere i premi e qui Gatti, data l’enormità di soldi da pagare e qualche debito da giocatore di troppo, cerca di barare. Provvede a saldare il premio-vittoria di 6.000 lire solo a Ganna. Per Pavesi, Galetti e Bruschera tenta l’imbroglio, avendo questi ultimi corso un altra gara con altra marca (la Medusa, sottomarca della Bianchi). Riporta Pavesi: «Ora che doveva scucire per il Giro d’Italia cercava l’inghippo: poiché noi si era cambiata casacca, a suo parere il contratto doveva considerarsi denunciato: e buona notte corridori». Sui giornali Pavesi diventa l’Avocatt, per la sue capacità dialettiche e di persuasione. Insieme al vincitore Galetti e Bruschera ricorre in tribunale, vincendo la causa giudiziaria. «E in appello, come si dice, trionfa la giustizia. Gatti viene condannato non solo a sborsare la somma pattuita (diciotto mila), bensì anche a rifondere le spese e gli interessi: ventunmila lire in tutto. Per la squadra dell’Atala, un colpo quasi mortale». Il rapporto con l’Atala-Dunlop si chiude malamente e i due, delusi e arrabbiati, accettano di passare alla Bianchi, la grande nemica dell’Atala.
UNO PER TUTTI…
Un affronto per Gatti, tanto più che Galetti vincerà il Giro 1911 (con 2° Rossignoli, sempre Bianchi). E così, dopo aver vinto con Luigi Ganna nel 1909 e con lo stesso Carlin nel 1910 le prime due edizioni della corsa, la vittoria della Bianchi nel 1911 aveva gettato Micio nello sconforto. Sembra pronto ad abbandonare la fabbrica e la squadra corse quando Ganna (che era rimasto all’Atala) lo avvisa che l’edizione successiva si sarebbe corsa a squadre. Ecco che nel patron dell’Atala si riaccende la speranza. «Cosa ti serve per vincerla?», chiede Gatti. «Pavesi e Galetti», risponde Luison. Gatti rimane in silenzio. «Allenati», gli dice «che rifacciamo la squadra dei moschettieri».
Gatti, pur in minoranza ormai nell’Atala, riesce a convincere il nuovo socio, Fabbre, nel riunire i Moschettieri per la disputa del solo Giro. Micio contatta quindi Pavesi e in breve trovano l’accordo, accantonando i dissapori passati. Va scelto il quarto. Gatti propenderebbe per Bruschera (che quell’anno corre per la Bianchi). Pavesi consiglia Micheletto. Gatti delega Pavesi per ricomporre la squadra: «se ce la fai a convincere tutti…». Pavesi si prende ancora una volta la briga, ma l’impresa non è semplice. Sono passati solo due anni dal trionfo grigioblu al Giro ma, nonostante tutti abbiano continuato a correre, la situazione è molto cambiata.
Sembra di essere nel romanzo di Alexandre Dumas, “Vent’anni dopo”. Nel seguito de “I tre moschettieri” la ricerca è il primo motore del racconto. Altrettanto Pavesi, novello D’Artagnan, torna alla ricerca dei suoi vecchi compagni. Sono ancora ciclisti ma, come per i Moschettieri del romanzo, gli interessi fuori dalla corse si fanno sempre più forti. Ganna, pur distratto dalla sua fabbrica di biciclette, è comunque già dentro la squadra, anche se ha corso pochissimo quell’anno. C’è da convincere il tipografo Galetti e il giovane ‘Conte di Sacile’ Micheletto. Pavesi si presenta da Galetti in tipografia. Carlin sta allargando l’attività e le rotative lo assorbono completamente. Intanto, però, gli è già arrivata la proposta di Gerbi, che lo vorrebbe come capitano della sua squadra. Galetti tentenna, ma Pavesi lo convince. «I tre moschettieri lombardi sono tornati insieme: ‘i tre moschettée” dell’Atala, van bausciando i nostri tifosi», scrive Brera nelle memorie di Pavesi.
Gatti sfrutta il momento e lancia un nuovo tipo di bicicletta. Fabbre si convince del tutto e Pavesi può continuare la ricerca dell’ultimo moschettiere: “Nane” Micheletto. I due sono stati compagni di squadra. Lasciata la Bianchi all’inizio del 1912, Pavesi aveva raggiunto Micheletto alla FIAT. «Tomasselli [Presidente della Bianchi] decise di tenere i velocisti e non altri. Iniziò una tradizione, in quel modo, che gli valse magnifici successi nelle corse in linea, e molte molte disillusioni nei Giri». I due ciclisti pedalano alla Sanremo e alla Roubaix con ambizioni ma raccolgono solo piazzamenti. Tornati in Italia, Folis della FIAT gli comunica che la società «faceva già troppe automobili, il reparto biciclette andava allargato o soppresso. Così come era non poteva reggere la concorrenza. Avevano dunque deciso di smaltire la produzione senza rinnovarla. La squadra corse, logicamente, cessava di esistere: il contratto era risolto in questo piacevole modo: che noi si pigliava i nostri soldi fino all’ultimo (350 mensili) e buona fortuna». Da quel momento l’Avocatt aveva perso le tracce del giovane compagno. Lo trova nella cascina paterna alle porte di Sacile. Inizialmente Micheletto è contrario. «‘Puah!’ esclama storcendo la bocca, ‘le corse a tappe!’».
Il piano di Pavesi è chiaro: «Siamo i più forti di tutti: Ganna, Galetti, Micheletto e Pavesi. Tu vinci tutte le tappe. Ganna e Galetti la fanno fuori per la vittoria finale». Nane Micheletto tentenna ma l’intervento del padre è risolutivo. Pavesi può tornare a Milano col suo contratto in tasca. Gatti li ha finalmente riuniti tutti, ma l’impegno economico è stato corposo: «Con tutto quello che mi sono costati, una fabbrica mi potevo prendere», esclama alla partenza della prima tappa, come ricorda Costamagna.
Fatta la squadra (con direttore sportivo Giangiacomo Roseo), sembra ci sia solo da allenarsi e attendere l’inizio del Giro. Ma l’avvicinamento non sarà dei migliori. Un maggio particolarmente piovoso limita le uscite. Ganna si fa male a un ginocchio cadendo in discesa. Di Micheletto si perdono nuovamente le tracce. Galetti deve vedersela con l’ira di Gerbi che culmina con la sfida da 10.000 lire.
LA DISFIDA DI GERBI
Gerbi si è dato, come Ganna, alla produzione delle biciclette e per promuoverle decide di mettere insieme una squadra per partecipare al Giro d’Italia. Gerbi fa lo stesso ragionamento di Gatti: per un’impresa del genere ci vuole il miglior corridore a tappe, ovvero Galetti. L’offerta di Gerbi è molto sostanziosa e Galetti ci pensa, ma ha già l’accordo con Pavesi. Il 17 aprile risponde a Gerbi, rifiutando l’offerta. L’orgoglioso Diavolo Rosso non la prende bene. Gerbi manda a Pavesi la lettera di sfida verso Galetti, che contemporaneamente appare sulla Gazzetta: «una corsa a cronometro su trecento km: 10.000 lire di posta». Galetti è sconfortato, la posta è troppo alta e i rischi altrettanto. Pavesi però capisce che se il compagno non corre i Moschettieri grigioblu possono dire addio anche al Giro. Va a trovare Costamagna alla Gazzetta e insieme concordano un montepremi più basso, 1000 lire, e il percorso (una sorta di Giro di Lombardia).
Dato che Galetti è ancora senza biciclette (il contratto con l’Atala riguarda solo il Giro), Pavesi trova l’accordo con Umberto Dei, altro recente costruttore di biciclette. «In pochi giorni Galetti ha due macchine su misura (che in gara si possono cambiare)». Il 30 aprile si tiene la disfida che vede il successo di Galetti, sorretto in automobile da Pavesi (alla prima vera esperienza come direttore sportivo). Il Rosso Gerbi pur avendo perso la sfida non demorde dalla sua idea di partecipare al Giro. Ingaggia allora Baslòt Rossignoli, che molto bene aveva figurato nel 1911, insieme ad Albini e Bordin; tutti con la maglia color del diavolo.
IL GIRO D’ITALIA 1912
Il Giro del 1912 è l’unico che si sia disputato a squadre. Un’invenzione di Cougnet e soci, che ancora cercavano la quadratura della loro creatura: 8 tappe per 2400 km (il più corto di sempre) e solo corridori italiani e squadre italiane. Secondo il regolamento le squadre invitate dovevano essere composte da 4 corridori, ma almeno 3 dovevano arrivare al traguardo. La suddivisione dei punti si basa sul piazzamento dei singoli corridori della squadra in ogni tappa, oltre a una serie di punti accessori a seconda del numeri di ciclisti per squadra piazzatisi nella prima metà del gruppo e così via. Al via si presentano 14 squadre (per un totale di 54 ciclisti) tra cui, oltre all’Atala, le più importanti sono la Bianchi (direttore sportivo Cavedini) che, orfana di Galetti e Pavesi, poteva contare su Beni, Bruschera e gli ex FIAT Aimo e Santhià; la Legnano, con Azzini, Sivocci e Borgarello; la Gerbi, con il Diavolo Rosso in persona, Rossignoli, Albini e Bordin; la Stucchi si affida a Robotti, Gadda, Fasoli e Oriani (detto ‘Pucia’). L’unica squadra straniera è la Peugeot che sia appoggia al rivenditore di Torino e schiera Agostoni e Allasia, Durando e Gremo.
LA CORSA
1° tappa (19 maggio, Milano – Feltre- Padova, 398 km)
Micheletto fin dalle prime battute si mette davanti a dettare il passo, ma Ganna è in difficoltà all’altezza di Peschiera del Garda. Sulle Scale di Primolano i tre Atala rimasti e Santhià (Bianchi) allungano. Inscenano una fuga di 120 km che si conclude nella città del Santo con vittoria di Micheletto davanti a Santhià e al compagno Galetti. L’Atala è già davanti a tutti con 7 punti. Ganna arriva 17° a 44’27”.
2° tappa (21 maggio, Padova – Bologna, 328 km)
Prevale il gioco di squadra e non ci sono fughe in solitaria. Al km 43, nella bassa padovana, una caduta generale condiziona la corsa. Quasi 40 corridori sono bloccati e solo una quindicina riesce a evitare la caduta. Riprende la gara, sempre con Micheletto che fa la differenza sul Monfestino. Chi ne fa le spese è ancora Ganna che in un tratto della salita è costretto a procedere a piedi. Vince Borgarello della Legnano davanti a Santhià, ma l’Atala che ha piazzato Galetti al terzo, Pavesi al quarto e Micheletto all’ottavo mantiene la testa della corsa con 14 punti. Ganna arriva 14° a 25’.
3° tappa (23 maggio, Bologna – Pescara)
Vittoria di Azzini (Legnano) ma, soprattutto, la Peugeot conquista 7 punti, diventando l’antagonista dell’Atala. Claudio Gregori annota: «Non c’è gloria per lui [Ganna], costretto a un’interpretazione nuova: la difesa. L’uomo che ha sempre fatto corsa di testa conosce la retroguardia».
4° tappa (25 maggio Pescara – Roma) [ANNULLATA]
Sulla salita di Capestrano si stacca ancora Ganna, il ginocchio proprio non va. Dopo il controllo di Terni, al km 202, restano due salite da superare. Ancora una volta Micheletto aumenta il ritmo e gli restano alla ruota solo Galetti, Contesini, Fasoli, Allasia e Bordin. Dopo Cantalupo in Sabina caduta di Contesini, per rottura di un freno, e poi quelle di Micheletto e Galetti. Lo straripamento di un torrente appenninico dovuto alle ampie piogge di quei giorni aveva portato a una variante del percorso, non ben segnalata. Riporta Gregori: «Il torinese Domenico Allasia, 18 anni, debuttante al Giro, ne approfitta per scappare. Giunto a un bivio, invece di deviare verso sud per Passo Corese, sceglie la strada migliore e va ad ovest verso Civita Castellana. La Giuria lo segue. E il gruppo segue la Giuria».
Solo dopo 50 km i corridori si accorgono che quella non è la strada giusta e che si sono allontananti da Roma. Pavesi veste i panni del sindacalista dei corridori e dirige la sommossa. Ampie discussioni con Costamagna, tra minacce e patteggiamenti. Ricorda Pavesi: «Riuniti i direttori sportivi, Costamagna propone un compromesso che tutti accettano: non si giudicherà (grazie!) nessun arrivo a Roma: il Giro avrà una tappa in meno. Una volta giunti a Milano, sarà facoltà dei direttori sportivi (e basta uno) di chiedere che la tappa mancata venga corsa: servirà allora ottimamente il classico percorso del Giro di Lombardia». Certo che i rossi di Gerbi stanno perdendo un’ottima occasione per vincere la tappa e sono l’unica squadra ad avere tutti i corridori in testa. Alla fine, sotto la pioggia, il corridori si recano alla stazione per prendere il treno che li avrebbe accompagnati nella Capitale. La tappa viene annullata e i biglietti degli spettatori che aspettavano da ore nello Stadium di Roma rimborsati. Gerbi minaccia di ritirarsi, ma il giorno dopo è alla partenza di Piazza del Popolo accanto a Rossignoli.
5° tappa (27 maggio, Roma – Firenze)
L’organizzazione, una volta partita la corsa da Roma, preferisce far passare il gruppo dalla Cassia, asciutta, invece che dalla Flaminia, coperta di fango e ghiaia. A Narni, Luison Ganna deve arrendersi, l’infiammazione al tendine del ginocchio è ormai insopportabile. L’Atala resta con soli tre corridori, quelli strettamente necessari per continuare a gareggiare. A risollevare un po’ gli animi ci pensa Galetti, che vince a Firenze.
6° tappa (29 maggio, Firenze – Genova)
Vittoria di Bordin (Gerbi), che stacca Galetti di 18’, ma è l’Atala ad avere un reale vantaggio da questo risultato. Pavesi si mostra lungimirante quando capisce che non può lasciare solo Micheletto, che sta dando evidenti segni di nostalgia di casa. Nane, da ‘Conte di Sacile’ qual è, non ama il fango e sta diluviando. Ma soprattutto Micheletto è dedito più alle ruote delle gonne che a quelle delle biciclette. Brera/Pavesi: «Quanto a Micheletto, per invogliarlo a correre, gli s’era promesso di fargli vincere qualche tappa e poi di lasciarlo andare, che finisse di leggere D’Annunzio». Il ritiro di Ganna ha però scombussolato i piani e Micheletto è costretto a restare.
Davanti intanto la Peugeot sta tirando il gruppo e il solo Galetti riesce, a malapena, a restare in scia. Gatti avvisa Pavesi che deve portarsi avanti, ma non si può lasciar solo Nane. Pavesi lo ha accompagnato, lo ha incitato, con le buone e con le cattive, finché, sfinito, trova l’accordo con Borgarello (Legnano) per far da balia a Micheletto, che lo porti fino all’arrivo. Si accordano per 50 lire, all’arrivo però ne vorrà il triplo perché è stata una vera e propria impresa. Pavesi comprende e paga, nonostante l’ira di Galetti. Gerbi e Rossignoli sono ancora più indietro e vanno più piano di Micheletto. Davanti, intanto, il rosso gerbiano Bordin ha vinto la tappa, ma la Giuria l’ha colto attaccato a una macchina sul passo del Bracco. Andrebbe squalificato, ma nessuno fa reclamo. Potrebbe l’Atala, con Galetti secondo, ma incredibilmente non lo presenta.
7° tappa (31 maggio, Genova – Torino)
Vittoria di Borgarello (Legnano), ma la volata tra i 13 corridori arrivati è falsata da una serie di scorrettezze. Pavesi: «Noi si fa l’andatura a Micheletto, quelli della Peugeot a Carlo Durando. Micheletto gli salta alla ruota e aspetta di scattare: Durando allarga e non ci cede il passo». Durando stringe Micheletto, che replica con una manata plateale. «Gli scende il berretto sugli occhi, sbanda, deve frenare. La tappa finisce naturalmente male per entrambi e sono dolori: la gente ha solo visto il cazzotto di Nane a Durando». Borgarello s’infila tra i due e va a vincere.
Gregori scrive: «Il pubblico, tutto per Durando, si infuria. Il velodromo diventa una bolgia». Pavesi: «Dobbiamo squagliare nel chiosco della birra e difenderci a bottigliate. È un assedio in piena regola: soltanto i Carabinieri ci possono liberare. E lo fanno che è sera». La Giuria penalizza l’Atala di due punti e la Peugeot passa in testa di tre punti; Micheletto non viene squalificato ma distanziato. L’Unione Velocipedistica Italiana si scontra con la Giuria a cui chiede una penalità più sostanziosa; ma questo non accade. La diatriba esplode.
8° tappa (2 giugno Torino – Milano)
Micheletto si trova al centro della polemica e risponde da par suo andando a vincere l’ultima tappa a Milano, in volata. Galetti, che è riuscito a tenergli la ruota, arriva secondo e per l’Atala è il ricongiungimento in cima alla classifica della Peugeot. Il giorno dopo Costamagna sulla Gazzetta propone di chiudere il Giro così com’è finito a Milano. Anche per l’UVI il Giro sarebbe finito lì e lo avrebbe vinto la Peugeot con 26 punti davanti all’Atala con 25. Per la Giuria e La Gazzetta dello Sport l’Atala è in testa con 27 punti, 4 più della Peugeot, e si dovrebbe correre la tappa sostitutiva della Pescara – Roma. Pavesi: «Noi vogliamo vincere, non fare a metà [con la Peugeot]. Abbiamo diritto al ricupero della tappa di Roma. Facciamolo in grazia di Dio». L’Avocatt sa che è bene battere il ferro finché caldo e Nane è caldissimo.
9° tappa (4 giugno, Milano – Bergamo)
In questa tappa di recupero, in sostituzione della quarta annullata, i due squadroni si fronteggiano a viso aperto. Sul percorso del Giro di Lombardia, però, gli uomini Atala staccano tutti. La vittoria viene lasciata a Borgarello, alleato prezioso, con Micheletto secondo e Galetti terzo.
La classifica finale viene vinta dall’Atala con 33 punti, davanti alla Peugeot con 23 e alla Gerbi con 8. Lo strascico polemico fu comunque consistente. Il Comitato direttivo dell’UVI, infatti «Delibera di interdire La Gazzetta dello Sport dal diritto di dare e organizzare corse». I media, solidali, si rivoltano con forza. Questo sarà solo il primo di una serie di scontri tra l’UVI e l’organizzazione della Gazzetta dello Sport, che sfocerà nel 1915 in una scissione interna dell’UVI. Patron Gatti può festeggiare il ritorno a casa del titolo. Il Giro del 1912 è dominato, ma l’esborso economico è stato troppo ingente. Micio lascia la sua creatura e si ritira in Brianza.
L’Atala, dopo un paio di passaggi societari, nel 1919 viene acquistata da un artigiano di Padova, Emerico Steiner. Fu anche l’ultimo Giro dei Moschettieri dell’Atala. Ganna, dopo la vittoria su una sua bicicletta de La Gran Fondo (600 km) di settembre, si concentra maggiormente sulla sua fabbrica di velocipedi. Galetti è sempre più preso dalla tipografia, mentre Pavesi continua, ma già nuovi ciclisti (Girardengo) si affacciano alla ribalta. Sono le ultime luminarie verso un glorioso tramonto. Quel Giro è stato la summa dei Moschettieri: la forza e la resistenza di Galetti, l’astuzia di Pavesi, la velocità in volata di Micheletto. Manca solo Luison Ganna, come Athos, ma la storia era già con lui. Galetti, se la corsa fosse stata a punti individuali come negli anni precedenti, avrebbe vinto lo stesso questo Giro. La disfida con Gerbi gli era servita per fare la gamba, mentre Pavesi e Micheletto si erano allenati in inverno. L’unico su cui vi era incertezza sulla condizione era Ganna, ma il problema al ginocchio lo taglierà comunque fuori dai giochi. «L’Atala ci passa i quattrinelli pattuiti, quelli della FIAT già li abbiamo in saccoccia. Il finale di stagione lo facciamo alla Bianchi, ma Nane Micheletto s’è già troppo sprecato sulle ruote e non combina più nulla».
Breve ma intensa, la storia comune dell’Atala e dei Moschettieri ha segnato un’epoca e la memoria e ancora oggi, a distanza di oltre un secolo, risuona ogni volta che si parla del ciclismo dei tempi eroici.
A cura di: Marco Pasquini Dinbarbaallebici.wordpress.com Foto: archivio fotografico Carlo Delfino
Le squadre dell’Atala
Di seguito le formazioni della squadra corse dell’Atala dalla fondazione alla Prima Guerra Mondiale.
1908
Battista Danesi, Carlo Galetti, Luigi Ganna, Eberardo Pavesi
1909
Giuseppe Brambilla, Mario Bruschera, Luigi Chiodi, Battista Danesi, Luigi Ganna, Eberardo Pavesi
1910 (Maglia grigia)
Mario Bruschera, Battista Danesi, Carlo Galetti, Luigi Ganna, Henri Lignon (F), Eberardo Pavesi, Enrico Sala, Alfredo Tibiletti
1911 (Maglia grigia con fascia orizzontale blu)
Ugo Agostoni, Pierino albini, Giuseppe Brambilla, Luigi Chiodi, Luigi Ganna, Alfredo Tibiletti
1912 (Maglia grigio-blu)
Carlo Galetti, (Luigi Ganna), Giovanni Micheletto, Eberardo Pavesi
1913 (Maglia grigio-blu)
Alfonso Calzolari, Giuseppe Contesini, Marcel Godivier (F), Luigi Pogliani, Umberto Ripamonti
1914 (Maglia grigia con fascia orizzontale azzurra)
Luigi Bisio, Mario Bonalanza, Vincenzo Borgarello, Gino Brizzi, Domenico Cittera, Giuseppe Contesini, Paul Duboc (F), Fredrick Grubb (GB), Donald Kirkham (AUS), Ivon Munro (AUS), Georges Passerieu (F), Lucien Petit-Breton (F), Charles Piercey (AUS), Amedeo Polledri (pistard), Giovanni Rossignoli, Enrico Sala, Guglielmo Zanella.