In questo percorso di riscoperta degli scrittori prestati al ciclismo, e in particolare al Giro d’Italia, una menzione a parte va fatta per Gianni Brera che nel 1949 segue il Tour de France.
Nel numero scorso della rivista abbiamo trovato in Dino Buzzati il narratore del Giro di quell’anno, della prima parte della doppietta di Coppi. Qui rileviamo la seconda parte raccontata, tra neologismi e metafore poetiche, dalla penna di un giovanissimo Brera, il quale diceva di sé: «Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po».
Ricorda il figlio Paolo nell’introduzione al libro “Il principe della zolla”: «Fra il 1945 e il 1949 Gianni fa alla Gazzetta esperienze interessanti. Non gli consentono spesso di occuparsi di calcio, ma riesce a mettere un piede nel ciclismo […] Il passaggio cruciale avviene al Tour de France del 1949». Brera lo segue come inviato, insieme al compagno di avventure e collega Mario Fossati.
«Le corrispondenze di Gianni sono così belle da far guadagnare alla Gazzetta duecentomila copie di vendita», sottolinea Paolo Brera e che varrà al padre, non ancora trentenne, la co-direzione del più grande quotidiano italiano.
LA PARTENZA
Il Tour parte da Parigi il 30 giugno e Brera comincia subito a ricamare: «Il Tour mena la canicola a Parigi. Il cielo, per solito basso e grigio, si annulla quasi in un azzurro sbiadito e senza limiti, la città respira breve». Il Commissario Tecnico Binda, dopo il successo dell’anno precedente con Gino Bartali, ha allestito una squadra con due capitani e mezzo: Coppi (vincitore del Giro), Bartali (ultimo vincitore del Tour) e il terzo uomo, Magni, a supporto degli altri due ma con ampio margine di manovra. L’occhio attento del lettore scorge già nelle prime pagine una delle più significative metafore del pavese: «[…] Dunque Binda fa un cenno e Bertolazzi, l’autista, pigia sull’acceleratore. Il vascello ammiraglio della squadra italiana bordeggia nel bailamme di macchine e raggiunge presto i corridori». Da lì in poi nel ciclismo la macchina del direttore sportivo sarà identificata come l’ammiraglia. Si va verso Bruxelles, dove «[…] Il Mannekenpis ha salutato oggi i brussellesi zampillando regolarmente in maglia gialla!».
Brera, pur nella sua minuziosa cronaca in corsa, sa essere di parte (chiaramente italiana), ma mai troppo fazioso. Stravede per Coppi, ma riconosce la forza di Bartali e degli altri avversari. Insieme a Fossati raccoglie informazioni di prima mano direttamente da Binda. Dopo la caduta di Mouen (quinta tappa, in cui Coppi perde quasi 20 minuti), la sera a St. Malo Binda e Di Giovannangelo (cugino di Binda, al seguito della squadra) si adoperano per far cambiare idea a Coppi e farlo continuare. Così pure Pinella e Bartali, «il cui ritorno in gran forma è facilmente arguibile dalle lunghe diatribe contro tutto e tutti, escluso naturalmente il buon Dio».
In un’estate francese, fra la calura della pianura e i freschi venti delle coste il Tour srotola nel suo ricciolo. Ce li possiamo immaginare Brera e Fossati insieme sporgersi dalla macchina, come avevano fatto Pratolini e Gatto al Giro del ‘47. Scrutare l’orizzonte, raccontare la corsa, commentare le espressioni dei ciclisti, i loro gesti. La trasferta del Tour impone una immersione totale nella vita del ciclista. Per i cronisti, dopo le ore della corsa, parte l’altra corsa, quella per trovare un telefono con cui dettare l’articolo e poi via ancora a cercare un ristorante dove mangiare (bene) prima di riprendere contatto con i ciclisti per conoscerne le condizioni prima di dormire. «Il taccuino, questa sconnessa cambiale avallata dalla memoria […] Ma stamane il taccuino non ha voluto rinascere in fretta, come sempre. L’insonnolito cronista se l’è ritrovato intatto sul comodino, alcuni foglietti sdruciti e spiegazzati dal vento, altri macchiati e bruttati dal sudore, dalla polvere e dalle sgocciolature di birra: e ciascuno di essi diceva ancora qualche cosa».
Nella settima tappa da Les Sables d’Olonne a La Rochelle, una cronometro di 92 km, Coppi dà una dimostrazione della sua forza e solo Kübler gli rimane vicino arrivando a 1’32”. In classifica Fausto è ancora lontano quasi mezz’ora da Marinelli. Nella decima tappa (San Sebastian – Pau) si comincia a salire sui Pirenei e in maglia gialla c’è ancora il francese Marinelli che ha indovinato un paio di fughe nelle tappe precedenti.
Stavolta però paga e Brera chiede: «Notizie dalla retroguardia? A Dir poco tragicomiche. Il Dio Tempo si è seduto su di un paracarro e scandisce i minuti con l’inesorabile ghigno di un giustiziere. Un ragazzetto [Marinelli] piccolo e sottile come un passero con un maglione giallo che gli arriva alle ginocchia, pedala angosciato in mezzo al gruppo». Non manca poi il riferimento al vecchio Patron del Tour: «Siamo a 68 km da Pau (ore 14.22). La corsa sembra conclusa. E non è ormai più che una dannata gincana nel polverone. Anima di Henri Desgrange, se ci sei sorridi… anche al nuovo “patron” piacciono le infilate avventure, le diversioni torcibudella, gli ingorghi e le scivolate da far suonare le orecchie».
Al primo scatto di Coppi risponde Robic. Il francese resiste anche al secondo, al terzo scuote la testa (di vetro) e desiste. Brera s’inalbera d’orgoglio: «Stavamo tutti zitti ai margini quando partì Coppi galoppando verso l’alto con imperiosi colpi di pedale (e noi logicamente esaltati si era indotti a fare pronostici spacconi)». Al termine della tappa Magni guadagna la maglia gialla e Coppi è in recupero in classifica, dove anche Bartali è ben piazzato.
DALLA RIVIERA ALLE ALPI
Si attendono adesso le Alpi e intanto si costeggia la Riviera: «queste le ultime note di cronaca registrate dal nostro taccuino. Poi, chilometri quadrati di pelle nuda, il mare, gli olivi, i pini e le Alpi Marittime che ci nascondono le vista di Cannes […] noi scateniamo Graziani verso Cannes, mollemente distesa lungo l’arco del suo celebre golfo. Montagne di umanità nuda, chilometri di tintarella: modici applausi. Siamo nel regno dei blasés, dove si urla per casi personali e per il mal di denti».
Sulle Alpi gli italiani dominano con Bartali e Coppi. Fausto, che potrebbe aspettare la cronometro della ventesima tappa per prendersi la maglia gialla, già nella Briançon – Aosta stacca di 4’55” Bartali e andando a vestire il simbolo del primato.
Nella crono da Colmar a Nancy «il cielo era coperto di nuvole plumbee, faceva fresco, il clima ideale per affrontare i 137 chilometri in piena solitudine e su percorso misto. Noi precedemmo i nostri campioni allo stadio di Nancy, fumosa capitale della Lorena».
Parte Coppi: «A questo punto un urlo della folla. La radio annuncia che Coppi ha iniziato la sua fatica con lo slancio rabbioso delle giornate migliori. Tragella non osa dirgli nulla, ma in cuor suo teme che il pupillo esageri un tantino. […] In trenta chilometri gli scalatori più quotati gli hanno tutti ceduto di almeno tre minuti!».
Nella cronometro Coppi, come già nella precedente, batta tutti i rivali. L’unico a tentar di resistergli è Bartali, che arriva secondo a 7’02”. A Parigi la sfilata dalla maglia gialla e poi di Bartali, reduce da un primo e secondo posto. L’esaltazione è tale che anche a Binda viene chiesto di fare il giro d’onore in bicicletta. Brera chiude l’articolo così: «Questa giornata rimarrà indimenticabile nel cuore dei nostri e di tutti gli sportivi sinceri siano essi italiani o francesi non importa: perché lo sport li ha da tempo riavvicinati, lo sport li terrà uniti per sempre».