Questa è la storia di un corridore malinconico, controverso, elegante e straordinariamente forte.
Un vero campione, l’unico ciclista in grado di mettere in crisi il più forte di tutti, Eddy Merckx, nel pieno della sua forza e del suo vigore agonistico al culmine della sua carriera. Questa è la storia di Luis Ocaña. Luis, classe 1945, nasce vicino a Toledo, primogenito di 5 fratelli si trasferisce con la famiglia in Francia all’età di 12 anni. Sono poveri gli Ocaña, sono scappati dalla dittatura franchista.
Luis non sa una parola di francese. I compagni di scuola lo maltrattano, lo prendono in giro in una lingua che non conosce, volano spesso sputi e sassate e lui di questo se ne ricorderà per sempre. Non volle mai prendere la cittadinanza francese. Lascia la scuola a 15 anni e scopre la bicicletta andando a lavorare da un falegname, 30 chilometri al giorno. Per gareggiare arriva a falsificare la firma del padre piuttosto autoritario. Arriva decimo alla prima gara e la seconda la vince di prepotenza. La sua è una passione vera, intensa, viscerale. Nella bici il giovane Luis cerca disperatamente il riscatto.
Ocaña si sposa a 21 anni con Josiane Calède, figlia di un camionista, la biondina che aveva consegnato il mazzo di fiori al vincitore del criterium di St. Pierre du Mont. E il vincitore era Luis. «Correva come un cane arrabbiato. Un talento eccezionale e fragile», diceva Pierre Cescutti, il direttore sportivo che per primo si accorse del suo talento. E un cane arrabbiato lo resterà per sempre ma, nonostante questo, riuscì anche a dipingere quadri delicati, nature morte, e un bellissimo ritratto del padre. Forse avevano fatto pace il giorno che Ocaña vinse a Munguia il titolo nazionale a cronometro: salì poi in auto e correndo come un pazzo (lo faceva sempre) arrivò all’ospedale di Mont de Marsan, dove un tumore allo stomaco stava finendo di consumare suo padre, che non aveva ancora 50 anni. E gli mise sul letto la maglia coi colori della bandiera spagnola, gialla e rossa.
Tour de France 1971
Partenza da Mulhouse il 26 giugno. Eddy Merckx è il netto favorito, gli sponsor delle altre squadre sono rassegnati al punto da tagliare nettamente gli stipendi dei propri assistiti, tanto – si sa – come al solito vincerà il Cannibale. Questo atteggiamento scatena la reazione di Raphael Geminiani, DS della Hoover di Joaquim Agostinho, che dice agli organi di stampa: «Nemmeno il mio amico Fausto Coppi era imbattibile. Se Merckx è chiaramente il favorito, noi faremo di tutto per rovinargli la festa». E nei giorni della vigilia si diede parecchio da fare per cercare alleanze in modo da mettere in difficoltà il Cannibale, vivacizzare la corsa e favorire Agostinho.
Così quando il Tour ha inizio, il portoghese si ritrova a suo fianco diversi importanti alleati, come gli spagnoli Ocaña, appunto, e Manuel Fuente, poi ancora l’italiano Gianni Motta, lo svedese Gösta Pettersson, reduce dalla bella vittoria del Giro, e l’olandese Joop Zoetemelk. Tutti insieme nel tentativo di sfiancare la Molteni e isolare il suo capitano prima delle montagne, per poi attaccare a turno con la speranza di far saltare il banco. Eddy Merckx comunque veste subito la maglia gialla e annuncia di voler puntare al tris dopo il ’69 e il ’70. In quel 1971 aveva già vinto la Parigi – Nizza, la Milano – Sanremo e la Liegi – Bastogne – Liegi. Geminiani a quel punto decide di rafforzare l’alleanza e nell’aria si respira l’odore acre di un golpe imminente. Così, nell’undicesima tappa dell’8 luglio, la Grenoble – Orcières-Merlette, accortosi che Merckx aveva speso molto per rientrare sui numerosi tentativi della “coalizione” sul Puy-de-Dôme qualche giorno prima (tappa tra l’altro vinta da Ocaña, che staccò il belga a 4 chilometri dalla vetta), decide di mandare in avanscoperta Agostinho, al quale si accodano Ocaña, Van Impe e Zoetemelk, mentre Petterson e Merckx dietro sembrano stanchissimi e non rispondono all’attacco. Il Cannibale a questo punto rimane senza gregari. Letort e Vasseur, compagni di Ocaña, si incollano alla ruota del fiammingo, mentre lo spagnolo parte in fuga solitaria percorrendo gli ultimi 70 chilometri della tappa a un ritmo indiavolato e arrivando a Orcières-Merlette con un vantaggio di 8’43” su Merckx che arriva terzo, superato anche da Van Impe.
Il giorno dopo Merckx, furente, tenta la riscossa. Ordina al suo gregario Wagmants di tirare a tutta per poi scattare. Il Cannibiale si accoda con Enrico Paolini, Luciano Armani, Van Vleuten, Aimar e Letort. La mossa sembra funzionare ma Ocaña, pur soffrendo tantissimo, riesce a non mollare, conservando alla fine 7’34” di vantaggio. Il giorno dopo nella cronometro di Albi, il belga rosicchia solo 11 miseri secondi allo spagnolo. Il Giro di Francia a questo punto sembra avere un nuovo padrone, un nuovo favorito. Ci sono ancora i Pirenei, certo, ma Ocaña sta dimostrando al mondo che in quel Tour è lui il più forte.
IL DRAMMA INATTESO
L’unico a non essere d’accordo è proprio Merckx. Il belga ha una fame insaziabile e il 12 luglio, nella quattordicesima frazione che va da Revel a Luchon, vuole riprendersi a tutti i costi quella maglia gialla che lo spagnolo sta indossando da tre giorni. Fa un caldo afoso. Ocaña ama il caldo e il Cannibale lo odia, ma ai piedi del Portet d’Aspet il cielo nero stava preparando uno scenario quantomeno dantesco. Ed è così che inizia a piovere, dapprima piano e poi sempre più forte. A un certo punto la pioggia diventa ghiaccio, la strada sempre più viscida. Le scivolose discese pirenaiche diventano un’incognita per tutti e l’arrivo di Luchon è ancora lontanissimo. In questa atmosfera da incubo, raggiunto Cyrille Guimard sulla cima del Col de Mentè, il Cannibale si tuffa in una discesa da kamikaze, ma Ocaña non molla. Sembra notte. Il nubifragio non dà tregua a quella sfida da cardiopalma e il manto stradale è invaso da un torrente di acqua e fango. Nella discesa dal Col de Mentè, percorsa ad andatura vertiginosa, Merckx sbanda, cade, ma risale subito in sella. Immediatamente dietro, Luis Ocaña, meno abile nelle discese, cade dopo aver centrato un muretto in costruzione e mentre torna a inforcare la bici l’olandese Joop Zoetmelk gli piomba addosso.
Ocaña è steso a terra, ferito. Il calvario è appena iniziato: altri corridori lo investono e finirà in ospedale con due vertebre incrinate e la morte nel cuore. «Mi sono sentito morire. Ho pensato a mio padre, a mia moglie, ai miei figli», dirà poi ai giornalisti accorsi all’ospedale di Saint Gaudens. “Mors tua, vita mea”, ma solo fino a un certo punto: il Cannibale coglie l’occasione per passare in testa ma non vuol saperne di indossare la maglia gialla a Luchon la sera del dramma, non in quelle circostanze. In quel 1971 ci saranno due vincitori al Tour de France, uno ufficiale – Merckx – e uno virtuale, Ocaña. Il dubbio resterà in eterno.
Due anni dopo Luis Ocaña trionferà a Parigi al Tour, ma manca Eddy Merckx, che nel 1973 non si è schierato al via. Un’assenza che offusca un po’ la vittoria dello spagnolo: «C’è sempre qualcuno che mi dice, hai vinto ma lui non c’era». Il Cannibale per Ocaña era un’ombra, un’ossessione, un incubo, tanto che a un certo punto decise di chiamare i suoi due cani con lo stesso nome. «Eddy, vieni a mangiare!», «Eddy, a cuccia!».
Dopo aver appeso la bicicletta al chiodo, Luis diventò opinionista per Antenne 2 e TVE, ambasciatore del ciclismo in Paraguay e infine viticoltore nella sua tenuta di Caupenne-d’Armagnac insieme alla moglie Josiane. A bordo del furgone dell’azienda perse l’occhio sinistro in un incidente stradale e, a causa delle numerose trasfusioni, contrasse anche l’epatite C. Da quel momento temette di soffrire, come aveva sofferto suo padre, di tumore allo stomaco. Nel frattempo, l’alcol e la depressione stavano logorando quell’anima indomita e irrequieta.
Luis Ocaña in 16 anni di professionismo: 23 vittorie da dilettante, 43 da indipendente e 121 successi tra i professionisti, con il Tour de France 1973, una Vuelta di Spagna, 3 Dauphiné Liberé, 2 volte la Settimana Catalana, due Giri dei Paesi Baschi, una Volta a Catalunya, tre campionati di Spagna (2 individuali e uno a squadre). Queste sono soltanto le più importanti delle vittorie colte tra i Pro oltre a innumerevoli piazzamenti, in gare a tappe, nonché una medaglia di bronzo conquistata ai Mondiali del Montjuich. Un atleta perfetto in bicicletta, un misto di eleganza, stile e potenza. Lo spagnolo triste che correva come un cane arrabbiato un giorno si sentì male e andò dal medico che gli diagnosticò un tumore al fegato, anche se poi molti sanitari provarono a smentire quella terribile diagnosi. Lui cadde ancora più in basso nelle sue angosce accompagnate da deliri di rovina.
Il 19 maggio del 1994 era un pomeriggio come tanti e Ocaña sarebbe dovuto partire da Mont de Marsan in direzione Bologna per seguire il Giro di Indurain per la televisione spagnola. Il destino e la storia decisero però per un epilogo ben diverso. Ocaña telefonò a Juan Hortelano, l’amico di sempre. «Litigio tremendo con Josiane. La faccio finita». E telefonò anche a Josiane per dirle addio. Terribile: Luis Ocaña s’è sparato alla tempia sinistra. Cosa strana, perché non è mancino.
Erano le 13:30 di una giornata primaverile, il suo corpo rantolante fu scoperto dalla moglie e trasportato all’ospedale. Cessò di vivere alle 16:10. L’autopsia rivelerà una forte dose di alcool nel sangue, il suo corpo sarà cremato. Lasciò scritto che le sue ceneri fossero sparse tra Francia e Spagna, le terre dei suoi successi e delle sue maledizioni. Al suicidio ci credettero in pochi, tanto meno la madre di Ocaña e i suoi fratelli, che in luglio presentarono una denuncia per omicidio contro ignoti. E non ci credette nemmeno il figlio, Jean Louis, che arriverà a denunciare come sospetta d’omicidio sua madre. La storia diventò sempre più intricata, ma ogni volta i giudici sentenziarono a favore del suicidio.
Luis, prima di quel maledetto giovedì, confessò all’amico Juan di temere che la moglie se ne andasse di casa portando con sé i suoi due figli. Ocaña aveva paura di ritornare un giorno da una trasferta e non trovare più nessuno. Forse per questo quel giorno decise di non partire affatto per l’Italia e intraprendere invece quell’ultimo tremendo viaggio di sola andata.