Alla pari di Ernesto Valente con la Faema e Giovanni Borghi con la Ignis, Erminio Dall’Oglio ha accompagnato il successo industriale su scala mondiale a un impegno nello sport a tutti i livelli.
Calcio e pallacanestro ma soprattutto ciclismo: sia con un proprio gruppo sportivo sia da sponsor. È sì la storia di una squadra di ciclismo ma soprattutto la parabola di un industriale mantovano nato “furmagiatt” (ovvero produttore di formaggi) che ha trovato nel territorio varesino, precisamente a Venegono, il suo luogo d’elezione. Erminio Dall’Oglio è appassionato di sport fin da ragazzino, con una predilezione per la bicicletta in tutte le sue nuance.
Le vicissitudini familiari – un rapporto non facile con il padre e soprattutto con il fratello, il veterinario Antigio – lo spingono a ingegnarsi per trovare la strada del successo. E il laconico commento del parente, «Resterai senza sella un giorno!», costituirà il motivo per cui un giorno, a sorpresa, Dall’Oglio si presenterà al via del Tour de France con una squadra tutta sua.
Tra il litigio nel cascinale dove è cresciuto e l’accordo con Levitan per iscriversi alla Grande Boucle passano però trent’anni. L’esordio, come detto, è nei formaggi ma il primo successo è con i distributori automatici di noccioline per i bar. Inizia a costruirli nello sgabuzzino di fianco a casa, insieme a sua moglie Franca, e poi gira la provincia per piazzarli e rifornirli. Dieci lire al colpo, la moneta del tempo. Un mercato florido che durerà fino a metà Anni ’60. Frequentando bar e circoli ricreativi, una domenica Dall’Oglio scopre l’esistenza di un lavabicchieri elettrico, prodotto dalla veneziana Nitro. Il lunedì è già in laguna per proporsi come rappresentante per la Lombardia. Ma a pochi giorni dalla consegna in prova, i primi esemplari vengono tutti restituiti per malfunzionamento. Al posto di abbattersi, Dall’Oglio decide di sviluppare da solo un nuovo modello di lavabicchieri.
DESTINATA A DURARE
Nell’autunno del 1956 i giocatori del Budapest Honvéd Football Club si trovano in tour in Europa quando in patria gli studenti scendono in piazza e viene formato il governo di Imre Nagy. La reazione dell’Unione Sovietica non si fa attendere e a inizio novembre vengono impiegati 250.000 soldati nella repressione. La Honvéd decide di continuare il tour, il che consente ad alcuni di portare fuori dall’Ungheria mogli e figli. Alla spicciolata, i primi di dicembre arrivano a Vienna e la settimana dopo il gruppo di profughi atterra a Milano dove è in programma un’amichevole con il Milan. Apre le marcature Liedholm su rigore, chiude i conti una doppietta di Puskás. Chi non tornerà in patria sarà squalificato dalla FIFA ma farà poi la fortuna delle squadre spagnole, Real Madrid e Barcellona su tutte.
Erminio Dall’Oglio assiste al match, rimane impressionato dalla combattività dei magiari e gli rimane impresso il nome “Honvéd”, che in ungherese significa soldato. Dieci anni dopo se ne ricorda, aggiunge una “o” e battezza così la sua prima creatura autopulente: “Lavabicchieri Hoonved”. Da lì l’avanzata è senza sosta: il primo anno sforna fino a 3000 lavabicchieri al mese e quando il mercato è saturo ha un’ulteriore intuizione: costruire un lavatazzine ad acqua, la Hoonved E40. Da quel momento sarà una vera e propria scalata al mondo della ristorazione con modelli per tutte le esigenze, dalle piccole lavastoviglie sottobanco per i bar alle macchine a traino per realtà più grandi e complesse. Dal garage di casa allo stabilimento industriale.
Il Circuito degli Assi
A quel punto il ciclismo era già entrato nella vita di Dall’Oglio e in modo decisamente strambo. Dopo il Giro d’Italia vinto da Gimondi (1969), ma rimasto negli annali per la squalifica per doping di Savona comminata all’astro nascente Eddy Merckx, a Venegono si ingaggia la maglia rosa per il Circuito degli Assi. Nino Recalcati, celebre organizzatore, è però ammonito dal Gimondi: «Se non porti Merckx, addio successo». Il belga dopo le lacrime e la delusione per l’esclusione dalla corsa rosa si è rifugiato in Francia. Dall’Oglio parte, gli parla, riesce a convincerlo che il pubblico vuole festeggiare il vincitore morale del Giro. Così lo ospita una settimana a casa, famiglia compresa. Il successo è incredibile e l’amicizia con il belga imperitura. «Un bel giorno mi ha pure proposto di fare una squadra con lui, con le sue biciclette, sarebbe salito in ammiraglia». Il colpo di Dall’Oglio con il Cannibale convince Donato Zampini a bussare alla porta della Hoonved. Scalatore di Gorla Maggiore, Zampini ha servito Magni e Bartali, è arrivato quarto al Giro 1952 e ha fatto il direttore sportivo in squadre importanti. Ora ha un manipolo di veterani e sta organizzando una gara a Venegono. La questua è per i premi finali e, a sorpresa, il patron gli allunga cinquantamila lire. Sarà la prima di una lunga serie di sponsorizzazioni: quindici anni dopo, per allestire una squadra sborserà oltre mezzo miliardo.
Prima del professionismo, oltre ai veterani (con cui conquisterà un titolo italiano con Vittorio Manzoni) e al ciclocross, c’è però l’avventura alla Sei Giorni, da sempre incrocio di sport, imprenditoria e rivista. È il 1976 e Dall’Oglio vuole una coppia per indossare la maglia bianconera con la scritta “Lavastoviglie Hoonved”: saranno l’ex pro Alberto Della Torre – destinato a diventare il suo uomo di fiducia – e il belga Van Lancker. Per anni sponsorizzerà diverse coppie di seigiornisti ma le dinamiche di questi spettacoli non gli consentiranno mai di vincere a Milano: al Palasport è scritto che debba vincere sempre un big e – semplicemente – il sistema non gli consente di ingaggiarlo se durante l’anno non ha in squadra un campione. Se vuole avere delle soddisfazioni pari al suo successo industriale deve fare il grande salto.
E arriva Zandegù
A fine Anni ’70 la Hoonved compare sulle maglie dell’U.C. Bustese, gloriosa squadra giovanile e dilettante. La battezza Bustese Herdal, altro marchio della galassia Hoonved, ovvero le iniziali del patron (Er. Dal.) con la H davanti. La vittoria più scintillante di questo sodalizio è il campionato dilettanti juniores con Fausto Restelli che apre alla costituzione della squadra dilettanti d’elite. Il 1980 è alle porte e con esso l’Olimpiade di Mosca, una vetrina enorme per gli interessi commerciali in terra sovietica: «Sarò presente alla grande esposizione con le mie macchine, vorrei che ci fosse l’accompagnamento di qualche mio corridore», confida Dall’Oglio, sempre più orientato ad allestire una squadra su pista di “puri”.
Il progetto non si concretizzerà mai e si ritrova così ad accogliere, in un giorno di dicembre, Dino Zandegù. È in cerca di un secondo sponsor della Mecap, squadra di cui è direttore sportivo. Il monito del fratello rimbomba in testa – «Resterai senza sella un giorno!» – e l’accordo è presto fatto: la Hoonved entra nel ciclismo che conta e sarà al via della stagione 1979. Capitano Mario Beccia, ex-Sanson, stanco di essere gregario di Moser e in cerca di spazio. Due successi al Giro con Porrini e Beccia e il sesto posto in generale del suo capitano. L’anno successivo si cambia squadra: Bottecchia, concluso il sodalizio con la Scic, si abbina alla Hoonved, sempre con Zandegù in ammiraglia. Al Giro tre vittorie ma il piazzamento di Beccia è deludente (ancora sesto); a salvare la stagione è la generale al Giro di Svizzera.
A fine stagione però si cambia tutto: Beccia chiede 70 milioni e Dall’Oglio lo manda a cercarli altrove, convincendosi di dover puntare sui giovani e sul Tour, in quegli anni completamente snobbato dalle squadre italiane. È un suo vecchio pallino, fa parte di quella promessa al fratello Antigio e il nuovo stabilimento della Hoonved ad Annecy è la giustificazione commerciale per l’allestimento di una squadra da mezzo miliardo di lire (1 milione di euro al cambio attuale). Nessuno crede in questa Hoonved composta da quattordici atleti, di cui dieci neoprofessionisti. Ma il 15 maggio 1981, alla cronometro a squadre di apertura del Giro a Lignano, non è la Famcucine di Moser a vincere bensì il treno della Hoonved Bottecchia: Aliverti, Bevilacqua, Bombini, Borgognoni, Faraca, Mantovani, Moro, Patellaro, Rui e Zappi. A 51 km/h di media. In quel maggio arriverà un’altra affermazione “rosa”, la maglia bianca con Faraca e tre vittorie al Trentino. Bruno Raschi scriverà sulla Gazzetta: «Questa Hoonved è una squadra che merita simpatia e attenzione perché è molto giovane. È stata costruita bene e praticamente rappresenta tutta e soltanto l’Italia. Non ce n’è un’altra che rappresenti così tante regioni. La liturgia ciclistica di Dall’Oglio va sostenuta perché è semplice: il patron vuole veramente bene al ciclismo, suggerisce ai suoi ragazzi: siate più bravi del vicino e superatelo. […] Ha dato alla sua squadra un nome di prestigio, Hoonved, esotico ma forte, più Bottecchia, il ciclismo eroico. Non ci poteva essere un connubio più felice e indovinato».
il tour, ad ogni costo
È il 1982 e per andare in Francia non bastano gli italiani, così la Hoonved ingaggia Gisiger, cronoman svizzero che arriva insieme al connazionale Dill Bundi, il fiammingo Van Linden e – a sorpresa – a una eterna promessa tedesca. Dall’Oglio la racconta così: «Lo incontrai all’aeroporto di Linate un mese prima della partenza del Tour. Gli feci firmare un contratto a termine su un semplice foglio di carta. Metà ingaggio alla partenza, l’altra metà a Tour concluso, sempre che Dietrich “Didi” Thureau fosse riuscito ad arrivare in fondo». A loro si aggiunge il ritorno di Mario Beccia che regala alla Hoonved il primo successo in una classica. È metà aprile e, a 80 km dall’arrivo della Freccia Vallone, Beccia cade e chiede a Zandegù di ritirarsi: «Ma quale ritiro?! Tu vai avanti, ti riaccodi e poi attacchi, nel finale ci sono salite che fanno per te, brevi ma secche!». Finirà così, con il norvegese Wilmann – unico a stargli dietro nella fuga – battuto allo sprint. Un successo che spinge Levitan, patron della corsa francese, a dichiarare: «Ha visto Commendatore Dall’Oglio? Ho trovato il protagonista per le montagne del Tour». Purtroppo la prima settimana si rivelerà fatale: Beccia soffre il pavé e va fuori classifica e Thureau per i sintomi di una caduta è costretto al ritiro a tre tappe dal termine. «Fui proprio io a persuaderlo, con 40° di febbre a malapena riusciva ad alzarsi. L’altra metà dell’ingaggio era comunque sua, se l’era meritata. Senza quell’inconveniente arrivava a Parigi tra i primi cinque».
Con la stagione 1982 si chiude l’esperienza del gruppo sportivo: le esigenze pubblicitarie dell’azienda reclamano gente capace di vincere il più possibile. E siccome con gli italiani la maglia gialla sembra un traguardo irraggiungibile, Dall’Oglio non ci gira attorno: «L’anno prossimo andrò al Tour con una squadra straniera, quella che mi capita. Basta che ci sia un corridore vincente, che possa regalarmi la maglia gialla. Ve la porterò in regalo a Varese».
L’anno successivo, puntualmente, tutto si avvera: la settantesima edizione della corsa francese muove dalla sua capitale, Parigi. Al via c’è anche la Jacky Aernoudt-Rossin che schiera un neoprofessionista molto promettente, Eric Vanderaerden. Classe 1962, in stagione aveva già vinto prologo e due frazioni alla Parigi-Nizza, due tappe alla Vuelta, è il più giovane al via della corsa ed è anche il “cavallo” di Dall’Oglio, che ha chiuso un contratto di sponsorizzazione con la formazione belga. Eric non reggerà l’impatto con il Tour: dopo una settimana sarà già a casa ma il primo luglio, sui 5,5 km del prologo di Fontenay-sous-Bois, è primo e maglia gialla. E il signor Hoonved, negli stessi anni presente sulle maglie del Varese calcio, tra Serie B e C, si sfoga così: «È come se avessi vinto un campionato di calcio, come se il Varese venisse promosso in Serie A. Ho provato una grande emozione, mi sono sentito l’uomo più fortunato e felice di questo mondo!».
La squadra belga chiude al termine della stagione e l’anno successivo la ditta di Varese compare sulle divise di una squadra nobile ma anch’essa destinata a scomparire, la Mercier. Squadra di Bobet e Poulidor, all’ultimo giro di valzer dopo quasi cinquant’anni di attività, vince come Coop-Hoonved la Freccia Vallone (con Kim Andersen, un danese). Un po’ poco come commiato e infatti Dall’Oglio si prende una pausa prima di affrontare la sua ultima avventura nel ciclismo. Si rivelerà la più vincente di sempre.
Un americano a Roma
Mancano pochi giorni al Giro d’Italia 1985 quando a Milano si presenta una squadra americana, la prima nella storia della corsa rosa. Sponsor principale è 7 Eleven – grandi magazzini, primi distributori alimentari in USA – recente vincitrice del Giro di California. Oltreoceano il mercato delle due ruote è in espansione e il ciclismo è un valido pretesto per fare affari di altro genere. La vittoria al Laigueglia a fine febbraio con Kiefel incuriosisce tutti ma a convincersi dell’investimento è sempre solo lui, Erminio Dall’Oglio. La truppa è assortita: Heiden è stato un campione di pattinaggio a Lake Placid, Phinney bronzo a Los Angeles nella 100 chilometri a squadre, Boyer ha già corso quattro Tour de France. Dall’Oglio, per avere Hoonved sulla maglia, spende un centinaio di milioni. Altri cinque sono pronti in caso di vittorie di tappa, 10 per la maglia rosa. «Non vorranno portare a spasso la mia insegna per quattromila chilometri senza mai sventolarla all’arrivo?», dichiara il patron. A Perugia, 15a tappa, viene accontentato. Prima vittoria a stelle strisce nella storia del Giro: Kiefel su Moser, per giunta. Il meglio deve ancora venire, perché nella tappa che sale al Gran Paradiso scappa via un ventitreenne passato professionista tre settimane prima. A chi vanno i cinque milioni promessi dallo sponsor? A un certo Andrew Hampsten…
L’americano passerà alla formazione francese La Vie Claire ma tornerà all’ovile nel 1987. L’anno successivo, in maglia 7 Eleven Hoonved, vincerà il Giro d’Italia. Un’edizione passata alla storia per la tormenta del Gavia. Sarà il primo corridore non europeo ad aggiudicarsi la corsa a tappe italiana. Per Dall’Oglio il grande successo con cui chiudere in bellezza un’avventura iniziata in una cascina mantovana, con un padre e un fratello dubbiosi delle sue ambizioni e capacità. Il furmagiatt è mancato nel 2016 a 87 anni, pienamente soddisfatto della sua parabola umana, sportiva e industriale: un self made man che, con i miliardi in tasca, è rimasto sempre se stesso.