Nel 2023 si celebrano i 100 anni dal primo campionato del mondo, su strada, italiano. Nessun errore.
Ricordiamo che il primo campione iridato italiano professionista è stato Alfredo Binda (1927, Nurburgring), ma l’incipit fa riferimento a quello dei Dilettanti, ovvero al titolo di Libero Ferrario del 1923. Come nasce l’idea di un Campionato del Mondo su strada? Fino a quel momento si potevano fregiare del titolo solo coloro che correvano in pista. A questo risponde Claudio Gregori ne “L’Italia che vola”: «Nel congresso di Anversa, il 6 agosto 1920, l’UCI decide di abolire il campionato del mondo dietro motori dilettanti. Uno dei tre delegati italiani, il torinese Luigi Bertolino, ha l’idea di sostituire quella gara con un campionato del mondo dilettanti su strada. La sua mozione riceve 40 voti a favore, 14 contrari e 10 astenuti. Si definiscono anche le caratteristiche della corsa: distanza tra i 150 e 200 km; niente allenatori né suigneur; bici punzonate; un solo rifornimento; arrivo su strada non su pista; quattro atleti per nazione e due riserve». Per i primi due anni, 1921 e 1922, questo campionato si disputa a cronometro. La prima edizione a Copenaghen, sulla distanza di 190 km. Vittoria dello svedese Gunnar Skold sul danese Willum Nielsen e sull’inglese Charles Davey.
E l’Italia? «L’italia, che con Luigi Bertolino ha concepito e lanciato l’idea del campionato del mondo su strada, è assente», chiosa Gregori. La riflessione dei dirigenti federali è stata molto asciutta: all’Olimpiade di Anversa del 1920 il migliore degli italiani è stato Gay, arrivato sedicesimo a 17’. Non è il caso di prestare il fianco a brutte figure. Da notare come Copenaghen e la Danimarca torneranno anche nella vittoria del titolo iridato di Learco Guerra nel 1931 (sempre a cronometro). Nel 1922 (3 agosto) la gara si tiene a New Brighton (vicino Liverpool), su un circuito di 80 km da ripetersi due volte (161 km), sempre a cronometro. Ridottissimo il parco dei partenti: 4 inglesi, 4 svedesi, 4 francesi e l’olandese Maas. L’Italia ancora non pervenuta. Vittoria dell’inglese Dave March su due compagni di squadra, W.T. Burkill e Charles Davey (al secondo terzo posto mondiale di seguito). Anche nel 1923 il campionato del mondo è previsto a cronometro. La città prescelta è Zurigo.
Libero Ferrario
Date queste premesse è il momento di introdurre il protagonista di questa storia: Libero Ferrario. Originario di Parabiago (nasce nel 1901), a nord ovest di Milano, appartiene a una famiglia benestante. Scopre il ciclismo nel 1908, quando si disputa la Tre Coppe di Parabiago, vinta da Canepari su Galetti e Oriani. È ancora il tempo dei pionieri. L’anno successivo sarà disputata la prima edizione del Giro d’Italia. La bicicletta è, per tutta quella generazione e per le successive, espressione di libertà.
Il giovane Libero si appassiona. La maglia rossa di Gerbi ha fatto un’altra vittima. Come scrive Claudio Gregori: «Gerbi è l’Ulisse della bicicletta», invita all’avventura. Lo stesso Ferrario lo racconta: «Come prima figura sportiva di allora mi colpiva quella del bell’atleta che ha entusiasmato l’Italia tutta con le sue prodezze, voglio dire: Giovanni Gerbi, l’astigiano dalla maglia color del fuoco e dai garretti d’acciaio». Il sogno di molti ragazzi, finita la Grande Guerra, è quello di imitare i campioni come il Diavolo Rosso, che ha lasciato un segno profondo nella loro immaginazione. Tramontato Gerbi è Girardengo a ispirare il neo ciclista di Parabiago.
Tra la fine degli Anni ’10 e l’inizio del 1920, Ferrario comincia a mettersi in mostra. Ha un buon passo e un ottimo spunto anche in volata. Nel 1920 si iscrive all’Unione Sportiva Legnanese. Nel 1922 vince la Coppa Bernocchi. La prospettiva per l’anno seguente si fa interessante. Nella primavera del 1923 si piazza bene nelle corse a cui partecipa. Il suo sogno è partecipare al Campionato del Mondo svizzero. Gregori: «Battuto dalla sfortuna nella Tre Valli Varesine del 10 maggio, tre giorni dopo Ferrario si presenta alla Cento Chilometri a cronometro a coppie di Cremona con Tito Brambilla, compagno di squadra alla US Legnanese». In questa frase due spunti importanti: da una parte la necessità per il giovane Libero di esercitarsi su distanze consistenti contro il tempo in prospettiva dell’appuntamento svizzero; dall’altra di farlo con l’amico Brambilla. Quel Tito Brambilla che sarà poi nonno di un altro campione del mondo, Giuseppe Saronni.
Intanto l’UVI, che ha deciso di partecipare al Mondiale, tentenna nelle scelte. Il 10 agosto dirama questo comunicato: «L’UVI delibera l’iscrizione ai campionati mondiali che si svolgeranno a Zurigo dei dilettanti Del Grosso Francesco e Guasco Angelo per le prove di velocità; Rivoltini Giuseppe, Vallazza Ermanno, Brusatori Filippo, Magnotti Filippo, Ferrario Libero e Ciaccheri Nello per la prova a cronometro su strada, riservandosi di stabilire quali di questi ultimi dovranno formare la squadra di quattro ammessa a gareggiare nella prova di campionato su strada». In pratica una preselezione, a cui Ferrario risponde presente.
Va forte. Nei 12 giorni prima del Mondiale vince 3 volte (5 agosto, la prima Coppa Arluno; 12 agosto, terza Coppa Città di Cantù; 16 agosto la terza Coppa d’Estate). Tutte di forza e di potenza. Una candidatura autorevole quindi, se non al ruolo di capitano, quanto meno a far parte dei 4. Ferrario e gli altri italiani partono da Milano il 17 agosto. Alloggiano all’Hotel Commercio nella città di partenza. Il percorso prevede 82 km da Zurigo a Basilea e ritorno. Non è un percorso pianeggiante. C’è una rampa, il Bozbergpass (574 m), che al ritorno potrebbe essere un ottimo trampolino per una fuga solitaria (a quel punto mancherebbero solo 36 km all’arrivo). Le nazioni partecipanti sono passate a 12. L’Italia è rappresentata dal presidente Geo Davidson.
Poi la sorpresa. Racconta Gregori: «Il campionato del mondo dilettanti è previsto a cronometro, come nelle prime due edizioni. Mercoledì 22 agosto, però, a tre giorni dalla corsa, l’UCI e il Comitato Organizzatore, di comune accordo, decidono di cambiare: il campionato del mondo non sarà a cronometro, ma in linea. Due fattori hanno portato a questo stravolgimento: quattro passaggi a livello e l’alto numero di iscritti, 48». D’improvviso cambia tutto. L’inviato della Gazzetta, Troschel, scrive che le chances degli italiani, già buone, diventano di primo ordine (24 agosto). Gli avversari però non sono da sottovalutare. I belgi hanno Hoevernaers, gli olandesi Maas, i danesi Nielsen. Gli svedesi puntano sul solido Skold (già campione nel 1921) e Malm. Sempre su un campione uscente (1922) gli inglesi: Marsh; i tedeschi su Kroll e Roser. I favoriti però sono i francesi, con Souchard e André Leducq (poi vincitore di due Tour de France, nel 1930 e 1932).
La sera del mercoledì, dopo la scelta di cambiare le regole d’ingaggio, l’Italia comunica i suoi 4 alfieri: Ferrario, Vallazza, Ciaccheri e Magnotti. Ferrario è il più giovane (22 anni). Il giorno dopo viene convocato da Geo Davidson che, come racconterà lo stesso corridore, lo esorta: «Senti Ferrario, voglio farti una raccomandazione, per il Campionato voglio che partecipi tu, con Magnotti, Vallazza e Ciaccheri… mi raccomando… Guarda che ci tengo immensamente alla vittoria collettiva, ma maggiormente a quella individuale, perciò… a voi».
Venerdì di riposo per i corridori. Geo Davidson porta la squadra in gita in battello sul lago per allentare la tensione. L’attesa cresce. Intanto si crea un incidente diplomatico che Gregori riporta così: «Gli organizzatori hanno bandito i giornalisti dal percorso. Gli inviati sono troppi, dicono, e le quattro vetture ufficiali sono riservate ai commissari, che devono vigilare sulla regolarità della gara. Dopo una vibrata protesta, le vetture ufficiali salgono a sei e su due di esse trovano posto i giornalisti, uno per nazione. Gli altri stanno al traguardo». Ferrario è considerato come la miglior pedina italiana, il più completo, ci si attende molto da lui. «Ha studiato il vialone di arrivo. Giovedì ha terminato l’ultimo allenamento con alcuni scatti su quel rettilineo».
Il 25 agosto piove a Zurigo. Si prevede corsa dura e bisogna stare attenti alle cadute. «Ferrario cade già prima del via. Sbatte il ginocchio e la testa sull’asfalto. Si rialza stordito. […] Viene subito circondato dai compagni, dai dirigenti federali – Geo Davidson, il presidente, e il cav. Giuseppe Varetto – e da Alfredo Focesi, patron della sua squadra, la Gloria. […] Viene da una notte difficile». Si è rigirato tutta la notte nel letto matrimoniale con Vallazza. È teso. A parte le botte, chi ha avuto la peggio nella caduta appare la bicicletta. «Tutti dobbiamo purtroppo constatare che una pedivella è completamente contorta, e tanto piegata che va a finire sotto il gioco centrale della moltiplica». Mancano pochi minuti al via e il meccanico Righi non c’è. Entra in un’officina ma non sa il tedesco. Con fatica si fa dare pinze e martello e con l’aiuto dei compagni raddrizza la pedivella. Riesce ad infilarsi, come ultimo, nel gruppo pronto per il via. Al ginocchio ha applicato della tintura di iodio e della vasellina per proteggerlo dal freddo. Alle ore 10 la partenza della corsa. Ferrario ha il numero 8 ed è in prima fila.
La corsa
La prima ora va via a 32,3 km/h di media. Scrive Ferrario nelle sue memorie: «Molti hanno già ceduto e io faccio capire a Vallazza che, se l’andatura si dovesse mantenere così elevata, dovremmo cedere, poiché il nostro rapporto di metri 5,45 è troppo misero in confronto dei 7,05 del danese Nielsen, che tira come un dannato». Ha smesso di piovere, ma tra fango e sassi la strada non è delle migliori.
In salita Ferrario, grazie al rapporto più agile, prova a fare la differenza con Eichenberger. Il gruppo comincia a frazionarsi. C’è chi fora (Skold e Maas). In cima passa per primo De Cat, Ferrario dopo un minuto. In discesa i fuggitivi aumentano il distacco, arrivando ad avere un vantaggio di due minuti. Ferrario è nel secondo gruppo. Recuperato qualche compagno (Magnotti) e girata la ruota si mette all’inseguimento. Al passaggio dei 60 km (Mohlin) al suo gruppo si unisce quello di Vallazza. Ora i quattro italiani sono tutti insieme. In fuga ci sono Souchard, Leducq, Wambst e Hoevernaers. Il distacco, alle porte di Basilea, resta sempre di due minuti. Non sono cinque qualunque quelli davanti, ma forse i più forti in corsa.
La gara sembra segnata. Ferrario però non molla. Guida gli inseguitori, che lentamente stanno guadagnando terreno. Accanto a sé ha Magnotti e Vallazza. Al giro di boa di Basilea incrocia i fuggitivi. Gli 82 km sono stati percorsi in 2 ore e 39 minuti, alla media di 31 km/h. Gli italiani si fermano, fanno rifornimento e il meccanico Righi unge loro le catene. Quando riparte Ferrario è un treno. Viaggia a 40 km/h e in prossimità di Schweizrhalle raggiunge quelli davanti. Finito l’inseguimento il gruppo si ricompatta. Parte Magnotti, una volta fuori da Schweizrhalle. Ferrario e Vallazza gli coprono le spalle. Saranno i francesi a inseguirlo. A 60 km dall’arrivo attacco di Leducq. I due italiani lo inseguono, ma succede un imprevisto: «Vallazza mi sta a ruota, e su una curva fatta troppo forte io non riesco a tenere la strada tanto che finisco in un fosso e Vallazza mi viene sulla testa, seguendomi nel capitombolo».
Recuperata la strada, il duo riparte all’inseguimento. Davanti intanto Leducq ha raggiunto Magnotti all’altezza di Stein. Leducq prova due volte a staccarlo in salita. Al secondo tentativo ci riesce. Discesa senza fiato del francese e poi 36 km per arrivare al traguardo. Dietro si è formato un gruppetto con dentro Ferrario, il quale però si ferma a girare la ruota e deve nuovamente inseguire. Antenen e Souchard raggiungono Magnotti e all’entrata di Baden vedono Leducq. Il francese viene raggiunto a 17 km dall’arrivo. Ai meno 15 km sono in 7: tre italiani (Ferrario, Magnotti e Vallazza), due francesi e due svizzeri. Siamo arrivati alle porte di Zurigo, non c’è più spazio per uscire. Tra gli italiani c’è accordo, Ferrario ha la possibilità di giocarsi le sue carte. Ai due chilometri dall’arrivo parte il treno composto da Vallazza, Magnotti e Ferrario, marcatissimo da Leducq. All’ultimo km Magnotti non ce la fa e Vallazza continua a tirare per il compagno. Da dietro, quando l’italiano si fa da parte, esce lo svizzero Eichenberger, che resta in testa fino ai 300 metri.
Ai 200 l’azione di Ferrario. «Ai 100 metri Ferrario gli è sopra. Si volta un attimo per assicurarsi di non avere nessuno a ruota. Vede Antenen a 20 metri e forza ancora. Supera Eichenberger rapido e vola avanti verso il traguardo. […] Vince, nel tripudio, con oltre tre macchine di vantaggio» esulta Gregori. Esplode la gioia degli italiani presenti. Geo Davidson si commuove (come farà ancora nel 1927 per Binda). Libero è abbracciato da Focesi (patron della Gloria, sua prossima squadra) e poi da Artemisia Gerbi, parente del Diavolo Rosso.
Interessante il ricordo di André Leducq nella sua biografia: «Bizzarro quel campionato. Essendoci sul percorso da Zurigo a Bale e ritorno il severo strappo di Brug, decidemmo di adottare un rapporto di 46×18, che sviluppa 5,36 m, mentre i nostri avversari, gli svizzeri in testa, optarono per il 46×14 con 6,90 m di sviluppo. Ruinart (direttore del loro Vélo Club Lavellois, la mitica fucina parigina di campioni francesi) alzò le spalle con commiserazione: “Andate, li ridicolizzerete!”».
In quel 1923 Ferrario vincerà la Coppa Bernocchi e farà ancora parlare di sé al campionato del mondo del 1924 dove arriverà quarto. Ma la tisi lo sta già minando. Si spegnerà nel 1930, a 29 anni non ancora compiuti.
LA CLASSIFICA
DEL mondiale 1923
Questa la classifica dei primi 10 arrivati in quel Campionato del Mondo:
1. Libero Ferrario (Italia), che ha coperto i 164 km in 5 h. e 25’ a 32,7 km di media.
2. Echenberger (Svizzera)
3. Antenen (Svizzera)
4. Magnotti (Italia)
5. Souchard (Francia)
6. Leducq (Francia)
7. Valazza (Italia)
8. Wambst (Francia)
9. Ciaccheri (Italia)
10. Senn (Svizzera)
LA NUVI RICORDA libero FERRARIO
di Fausto Delmonte, presidente NUVI
Il primo raduno NUVI di quest’anno è stato dedicato a Libero Ferrario e al suo oro mondiale di Zurigo del 1923, accettando l’invito del G.C. di Parabiago che porta il suo nome. In occasione della randonnée di domenica 12 febbraio 2023, abbiamo usufruito della loro ospitalità e logistica, prendendo poi come riferimento il percorso pensato per la strada e adattandolo alle nostre esigenze. Ne è venuto fuori un tracciato di 135 km, senza dislivelli significativi, con alcuni tratti di strade in ghiaia che hanno fatto rivivere le atmosfere incontrate da Ferrario durante i suoi allenamenti. Questo l’itinerario: da Parabiago attraverso il Ticino, quindi per Robbio, Mortara, Vigevano, Abbiategrasso e ritorno a Parabiago.
Il manipolo di nuvini presenti, in una giornata luccicante, ha pedalato con biciclette da corsa Anni ’20 a rapporto singolo (preferibilmente italiane) sulle strade del campione lombardo. Meticolosa anche la ricerca dell’abbigliamento, con maglie con colletto alto, doppia tasca anteriore per le italiane e tasca interna per le francesi/svizzere/tedesche. Nella pianura infinita, dominata dai campi di riso e dai loro fitti reticoli di fiumi, canali e fossi, i rappresentanti della NUVI hanno viaggiato alla ricerca di atmosfere e sensazioni passate. Chiesette dimenticate spuntavano all’improvviso dietro alle curve insieme a immense corti fortificate, nelle quali tanta vita è passata.
Una piacevolissima giornata conclusa con la visita al Museo del Ciclismo di Parabiago, dove passione e amore hanno riempito le sale di foto e cimeli, con particolare attenzione ai due campioni casalinghi Ferrario e Saronni.