Era notte, una notte di marzo del 1952. Il Vel d’Hiv finalmente dormiva. Fino a poche ore prima era stato una bolgia di rumore e di musica.
La musica dell’orchestra sul palco, a centro pista. E il rumore dei sibili dei tubolari delle biciclette, del vociare dei pistard, dello schianto secco di qualche rovinosa caduta, groviglio di gambe e telai. Tutt’intorno gli applausi e gli “oooh” dei tifosi, il fumo denso delle centinaia di sigarette, le luci forti delle lampade sui tralicci della volta. Poi, poco dopo la mezzanotte, tutto era finito. I giudici stilavano le classifiche di giornata, il pubblico sfollava, gli addetti alla Sei Giorni mettevano tutto a posto e i ciclisti potevano ritirarsi nelle loro cuccette, minimi separé di tramezzi di legno e una brandina, allestiti come un accampamento nella zeriba, il cuore della pista.
Il regolamento prevedeva che i concorrenti delle Sei Giorni dovessero rimanere dentro il velodromo anche di notte. Tutti, o quasi. Quella notte Nando aveva appena preso sonno nella sua “stanzetta” e sentì qualcuno che bussava. Una voce di donna chiese: «C’è Fausto?». Ma Fausto non c’era. Per il Campionissimo gli organizzatori facevano più di uno strappo alla regola. Lui, terminata la kermesse – omnium, velocità, inseguimento, americana… – la notte la poteva passare al Grand Hotel.
Non era mica la sola differenza, tra Fausto Coppi, il Campionissimo, e tutti gli altri concorrenti delle Sei Giorni. Pur di ingaggiare il Grande Airone, gli impresari di Parigi, Londra, Copenaghen, Anversa, Berlino erano disposti a staccare assegni che moltiplicavano le cifre siglate sui contratti degli altri pistard, dei seigiornisti di professione, globetrotter delle pedivelle spericolate, bucanieri dei velodromi di tutto il mondo, che erano poi quelli che in pista davano spettacolo. Coppi però attirava più di ogni altro il grande pubblico, disposto a pagare un biglietto salato pur di ammirare il suo campione.
Per quella Sei Giorni di Parigi Coppi aveva firmato un contratto di tre milioni e mezzo di franchi; tutti gli altri non ne guadagnavano più di ottocentomila. Però il Campionissimo, in pista, a sgomitare col coltello tra i denti sulle curve di un velodromo non era per niente a suo agio. E allora metteva di solito un’altra condizione, oltre al fatto di non dover essere costretto a dormire su una brandina stretta e scomoda per sei notti e di guadagnare il doppio o il triplo di tutti gli altri: correre in coppia con il miglior seigiornista, quello che avrebbe saputo affiancarlo e pilotarlo al sicuro nelle battaglie di ruote e manubri. E il migliore, in quegli anni e per molti ancora a seguire, non c’erano dubbi, era lui: Ferdinando Terruzzi, per tutti Nando.
Anzi, per tutti, il “Gatto Magico”. Perché del gatto aveva la magia di saper restare in sella anche quando lo avresti visto già lungo e disteso per terra, o quando lo vedevi passare per un pertugio tra avversario e avversario prima di lanciarsi a capofitto verso la fettuccia del traguardo. Di lui si diceva che sarebbe stato capace di guidare la bicicletta anche sul bordo di una vasca da bagno. Coppi aveva per Terruzzi un’ammirazione sconfinata. Le prime volte che correvano assieme aveva molta paura. Avrebbe voluto correre sempre in testa, fuori dalla tonnara di gomiti e pedivelle. Ma Nando gli spiegava che non era mica possibile fare un’intera Sei Giorni sempre in testa al gruppo. Con gli anni il Campionissimo, che in pista – però uno contro uno – era un campione nell’inseguimento, imparò a gettarsi nelle mischie senza timore. Da Terruzzi aveva imparato l’arte guerriera del correre in pista, una specie di master nella specialità che, secondo la penna inarrivabile di Mario Fossati, era la vera “aristocrazia della pedivella”.
Terruzzi del Fausto non aveva soggezione. Una volta gli fece notare come non era per niente d’accordo sul fatto che lui guadagnasse così tanto di più di tutti gli altri, e Coppi, come spesso gli accadeva coi compagni di squadra, si dimostrò generoso e comprensivo. Molto meno comprensivo fu quando fece una scenata al Nando perché aveva accettato di correre insieme a Magni, che gli aveva offerto un contratto molto più vantaggioso. Ma anche in quell’occasione il Gatto, senza peli sulla lingua, gli rispose che non c’era niente da recriminare: el mestée l’è el mestée e lui andava dove lo pagavano di più.
Però quella notte, al Vel d’Hiv di Parigi, Nando Terruzzi avrebbe potuto guadagnarsi, grazie a un inconsapevole Coppi, un bell’extra. Se solo fosse stato più pronto, o più furbo, nel rispondere in altro modo alla signora che aveva bussato e chiesto di Fausto. «C’è Fausto?» aveva sussurrato quella voce, che dal timbro prometteva dolcezza e sensualità. Stropicciandosi gli occhi assonnati, Nando aveva però borbottato: «Fausto non c’è. Ma se vuole c’è Nando». Per tutta risposta restò ad ascoltare un rumore di tacchi che si allontanava di fretta. Ma aveva troppo sonno per rimanere deluso. Non fece in tempo a rigirarsi sul fianco per ricominciare a dormire, che venne di nuovo disturbato, questa volta da un massaggiatore. Dal di fuori aveva assistito alla scena: «Uè, Nando, ma non sai chi era quella lì? La Gina, la Gina Lollobrigida!». Nando tirò un sacramento, pensando a Coppi, al suo contratto e alle sue belle donne. E pensare che a perderci, quella notte, forse fu proprio la Gina. Perché con il Gatto Magico, bello da sembrare il sosia di Robert Mitchum, si sarebbe più divertita che con il Grande Airone.
FERDINANDO TERRUZZI: IL RE DELLE SEI GIORNI
Nando Terruzzi era nato il 17 febbraio 1924 a Sesto San Giovanni. A diciotto anni, nel 1942, fu campione italiano Allievi di velocità. Nel 1948, alle Olimpiadi di Londra, in coppia con Renato Perona vinse la medaglia d’oro nella specialità del tandem velocità. Ha gareggiato come professionista dal 1949 al 1966. Grande esperto delle Sei Giorni, tra il 1955 e il 1962 è stato primo nel ranking mondiale della specialità. Ne ha disputate 149, vincendone 25 e arrivano 32 volte secondo e 19 terzo. Ha vinto a Berlino, New York, Dortmund, Gand, Copenaghen, Parigi, Milano, Anversa, Buenos Aires, Melbourne e Montreal. Ha corso in coppia con Severino Rigoni, suo maestro nei primi anni, e poi con altri grandi specialisti: Lucien Gillen, Reginald Arnold, Peter Post. Spesso veniva accoppiato a grandi campioni della strada: oltre a Coppi, Jacques Anquetil, André Darrigade e Miguel Poblet. È morto a Sarteano, in provincia di Siena, il 9 aprile 2014, a novant’anni.
Una dettagliata pubblicazione è dedicata alla vita di uomo e di campione di Nando Terruzzi: Giordano Cioli e Mirella Meloni, “Ferdinando Terruzzi. Il re delle Seigiorni: da Sesto San Giovanni per conquistare il mondo”, Blu Edizioni, 2004. La storia della notte al Vel d’Hiv nel marzo 1952 è liberamente tratta da due racconti di “Alfabeto Fausto Coppi. 99 racconti e una canzone”, di Gino Cervi e Giovanni Battistuzzi, Ediciclo Editore, 2019.