Biciclette e Grande Guerra
Alla Grande Guerra si andava a anche in bicicletta. Il Giro del 1914, l’ultimo prima dell’interruzione bellica, è passato alla memoria, oltre che per essere il primo in cui a determinare il vincitore finale fu la classifica a tempo, e non a punti, per essere stato anche il più massacrante della storia della corsa a tappe nazionale. Delle otto frazioni disputate, la più breve era di 328 km, la più lunga di 430 e ben cinque su otto erano superiori ai 400 km. Lo vinse il bolognese Alfonso Calzolari, in sella a una bici Prinetti Stucchi. Fu una lotta senza esclusioni di colpi anche perché le case produttrici ciclistiche che sponsorizzano le squadre in gara ambivano al successo per accreditarsi come marchi affidabili presso il Regio Esercito in vista delle commesse di guerra.
Il Battaglione Volontari Ciclisti
La bicicletta infatti fu uno strumento bellico utilizzato soprattutto come autotrasporto per alcuni corpi, come i Bersaglieri ciclisti. Nel 1911 si leggeva infatti sulle pagine della rivista del Touring Club Italiano: «La bicicletta, questa esile macchina che ha un’apparenza di grazia così delicata, questo giocattolo che suscita una visione di gradevoli e igieniche gite lungo le vie d’Italia, è ormai da contarsi fra gli strumenti più validi dell’offesa e della difesa armata nei conflitti internazionali». Nel 1915, alla vigilia dell’ingresso in guerra dell’Italia, si costituì a Milano il Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti Automobilisti, a cui aderirono, formando una sorta di “plotone degli artisti”, alcuni degli esponenti più noti del movimento futurista: il fondatore, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni – che solo un anno dopo avrebbe trovato la morte in modo alquanto accidentale nel corso di un’esercitazione a cavallo nel sobborgo veronese di Chievo – , Achille Funi, Mario Sironi, Luigi Russolo, Anselmo Bucci e l’architetto Antonio Sant’Elia, vittima nell’ottobre del 1916 in un assalto a una trincea nemica sul Carso.
Campioni caduti al fronte
Non furono pochi i campioni ciclisti che morirono al fronte. Carlo Oriani, da Cinisello Balsamo, detto il Pucia – per la leggendaria fame con cui ripuliva i piatti “pucciando” un tocco di pane – , vincitore del Giro d’Italia del 1913, fu vittima di una polmonite presa nell’attraversamento a nuoto del Tagliamento, durante la ritirata di Caporetto. Sul fronte delle Ardenne, morì invece Lucien Mazan, meglio noto come Lucien Petit-Breton, fuoriclasse francese vincitore di due Tour de France (1907 e 1908) e della prima Milano-Sanremo del 1907. Aviatore sul fronte francese nord-orientale, perse la vita in una battaglia aerea Octave Lapize, tre volte consecutive vincitore della Parigi-Roubaix, dal 1909 al 1911, e al Tour del 1910. Nella battaglia dell’Artois cadde un altro vincitore del Tour (1909), il lussemburghese François Faber. Sopravvisse al massacro, invece, Ottavio Bottecchia, fuggito più di una volta dalla cattura del nemico e insignito di medaglie al valor militare: vincerà il Tour nel 1924 e nel 1925.
Enrico Toti: cicloviaggiatore e patriota
Prima di diventare simbolo del patriottismo nazionale, grazie anche alla leggendaria copertina di Enrico Beltrame, per la “Domenica del Corriere”, che lo immortalò un attimo prima di cadere sotto il fuoco nemico mentre, agitando la stampella come una lancia va all’assalto nella sesta battaglia dell’Isonzo, nell’agosto del 1916, Enrico Toti fu stato un singolare ciclista, o meglio ciclo viaggiatore ante-litteram. Nato a Roma nel 1882, dapprima arruolatosi in Marina, quindi assunto presso le Ferrovie dello Stato come fuochista, nel 1908 rimase vittima di un incidente di lavoro, che gli causò l’amputazione della gamba sinistra. Perso il lavoro, si adattò a vivere di piccole attività, ma nel 1911, assecondando la sua passione per la bicicletta, intraprese un lungo viaggio per il nord Europa, toccando Parigi, il Belgio e l’Olanda, quindi la Danimarca, per poi attraversare il Baltico e riprendere la strada in bicicletta dalla Lapponia alla Russia, alla Polonia, fino a rientrare a Roma nel giugno del 1912. Il tutto pedalando ovviamente con una gamba sola. Nel 1913 tentò l’avventura ciclistica in Africa, pedalando da Alessandria d’Egitto verso il Sudan, dove venne fermato dalle autorità britanniche e rispedito a casa. Non senza difficoltà, a causa della sua menomazione, allo scoppio della guerra cercò di arruolarsi. Dopo molti dinieghi, alla fine venne accolto come civile volontario nelle retrovie e alla fine, sempre come volontario, nel battaglione di bersaglieri ciclisti del III Reggimento.