Se in Liguria vi capita di imbattervi in “uno che pedala”, potete essere sicuri che, nel 90% dei casi, la sua bici porta la gloriosa firma di Giuseppe “Gepin” Olmo, il più grande talento espresso da quella striscia di terra accidentata che separa il Mar Ligure dalla cosiddetta Padania.
Olmo, scomparso il 5 marzo 1992, fu grande protagonista negli Anni ’30 vincendo due Milano-Sanremo e diventando primatista dell’ora per poi sposarsi e trasferirsi in Lombardia, scoprendosi fortunato ed avveduto industriale.
Gepin nacque a Celle Ligure il 22 novembre 1911, quinto di sei fratelli. Si appassionò alla bicicletta pedalando ogni giorno fino a Savona, dove andava a scuola. Era l’epoca d’oro dei campioni che si allenavano in Riviera e non era raro incontrare sull’Aurelia il mitico Girardengo e gli altri della Maino, sempre in ritiro a Varazze. Proprio qui Olmo trovò anche il suo allenatore, consigliere e amico: Giuseppe Oliveri, buon routier-pistard negli anni a cavallo della prima guerra mondiale. Questi disputò un centinaio di Sei Giorni in coppia con i più forti assi del pedale e, gregario di Girardengo, arrivò terzo, dopo di lui, nella Milano Sanremo del 1919.
Oliveri notò presto quel ragazzino che si accodava educato e silenzioso ai campioni ai quali teneva con relativa facilità la ruota, e lo esortò a partecipare ad una delle tante gare domenicali promiscue che in quegli anni raccoglievano, a frotte, debuttanti e appassionati. Si era precisamente nel giugno del 1925 e la corsa in questione era la Savona-Loano-Savona. Pare che Olmo arrivasse soltanto ventesimo, dopo aver tentato ripetutamente la fuga solitaria. L’anno dopo si aggiudicò per distacco la prima corsa della sua luminosa carriera.
A 16 anni, da allievo, la sua attività divenne più seria e costante. Vinse il Giro della Madonna del Salto, la Coppa Brunoldi, la Sestri-Cogoleto e ritorno, la Varazze-Savona e ritorno, la Legino-Cairo-Legino, tutte corse che non ci dicono nulla a livello storico, ma che fecero sì che la sua sagoma, spesso in fuga solitaria, restasse bene impressa negli sportivi savonesi, i quali impararono subito ad amarne la generosità e la classe. Il 1931 fu la sua migliore stagione da dilettante: in quell’anno conquistò il titolo italiano individuale e fu secondo ai Campionati Mondiali di Copenhagen, disputati a cronometro. L’anno dopo, alle Olimpiadi di Los Angeles, vinse la medaglia d’oro nella classifica a squadre sui 100 chilometri contro il tempo. A questo punto passò professionista e… corriamo il rischio di dire troppe volte vinse questo, prese parte a quest’altro, arrivò primo a, ecc.
A noi piace invece, saltando qua e là lungo la sua carriera, ricordare come iscrisse il suo nome nell’albo d’oro del Record dell’Ora, cosa che non è mai stata semplice. Dunque, era il 31 ottobre del ’35: Olmo è in Lombardia per partecipare al Giro della provincia di Milano, una cronocoppie allora molto importante che richiamava al via i migliori italiani e una nutrita rappresentanza straniera.
Trovandosi in un buon momento di forma, Olmo decide da un giorno all’altro di tentare il record dell’ora. A Milano sfortunatamente pioviggina e la pista si presenta umida: che fare? Rinunciare? Mai. Il fido Oliveri, vecchia volpe dei velodromi, arriva in pista con un innaffiatoio di benzina, la sparge con cura e, tra lo stupore dei presenti, la incendia. L’anello in pochi istanti si asciuga e così, poco dopo le 15, il tentativo può avere inizio. Olmo, così dicono le fredde cronache, spinge un passo Humber 24×7 con pedivelle da 17 centimetri. Risultato: 45,090 chilometri. Il primato precedente 44,777 di Richard è sorprendentemente battuto.
A noi piace ricordare anche due belle e combattute vittorie alla Milano-Sanremo (1935 e ’38), in volata su gruppi ristrettissimi e davanti alla nobiltà del pedale, ma soprattutto possiamo immaginare il sapore particolare che può avere per un ligure la vittoria nella Classicissima di Primavera. Siamo anche convinti che un bottino di venti vittorie di tappa al Giro d’Italia non sia un risultato da poco: storica è rimasta quella ottenuta nella cronoscalata Rieti-Terminillo nel ’36, davanti a Bartali, come pure i suoi duelli allo sprint, spesso vincenti, con Raffaele Di Paco e con Learco Guerra.
Gepin Olmo fu anche grande stayer: sconfina nella leggenda quel finale di corsa a Berlino in cui, non contento dell’andatura fatta dall’allenatore e dopo ripetuti incitamenti, passò davanti alla moto e, fra lo stupore generale, andò ad accodarsi al rivale.
Abbiamo spesso ricordato Gepin parlandone con il fratello Michele, classe 1914, discreto corridore anch’egli, che con la famiglia dirigeva la fabbrica ed il negozio di bici di Celle Ligure (anno di fondazione, 1939). «Gepin era molto intelligente. Ancora corridore, aveva avuto delle intuizioni geniali, con anni di anticipo, sull’aerodinamica del mezzo meccanico (vedi: raggi piatti, galletti più piccoli, angoli diversi, movimento centrale più basso, ndr). La prima bici la costruì per me nella bottega del fabbro vicino alla merceria dei nostri genitori a Celle. Finita la carriera professionistica, fu quasi obbligato ad eccellere anche nell’imprenditoria. La sua vita si svolse tra Celle, Milano e Robbio Lomellina. Oltre a bici e motocicli si occupò della produzione di pneumatici, accessori, materie plastiche, cavi elettrici, resine, poliuretano espanso…».
“Michelin”, che ci ha lasciato 12 anni fa ci diceva che la definizione più pertinente per il fratello campione è quella di «corridore cerebrale», coniata da un grande conoscitore dello sport come Guido Giardini. «Cerebrale perché Gepin riuscì, non essendo un superman, ad armonizzare i mezzi fisici con il cervello in un grande equilibrio interiore e uno “spirito” che ancora adesso vive tra le forme delle biciclissime che portano il suo nome».