Basso di statura, un metro e sessanta, leggero come una piuma -solo 52 chilogrammi – José Meiffret è nato il 27 aprile 1913 a Boulouris sur Mer in Costa Azzurra, ai piedi del Colle Esterel.
Fin da piccolo è colpito da una sfrenata passione per la bicicletta. A quindici anni partecipa alla sua prima corsa ciclistica, si classifica ventinovesimo su sessantasei partenti. Un risultato che spinge il ragazzo a continuare fin quando una dottoressa gli proibisce l’attività agonistica per debolezza cardiaca.
Un duro colpo per il giovane che pensa al suicidio. Si racconta che a salvarlo fu un personaggio famoso, Henry Desgrange, l’inventore del Tour de France. Qualche anno dopo è scartato alla visita di leva per insufficienza toracica e scarsità del tono muscolare. Ciò non gli impedisce di interrompere l’attività con le due ruote, in più si arruola volontario nelle truppe di montagna. Durante la Seconda Guerra Mondiale, prigioniero dei tedeschi è deportato ad Arkona, un’isola del Mar Nero, dove d’inverno la temperatura scende a quaranta sottozero. Una condizione che gli procura una grave forma di artrosi.
UN NUOVO INIZIO
Qualche anno dopo, nel 1950, il 28 giugno, riprende la bici e dietro ad una motocicletta in un’ora percorre 104 chilometri e 870 metri dopo aver raggiunto 139,500 all’ora sul chilometro lanciato. Intanto arriva una notizia dagli Stati Uniti. Il noto stayer e seigiornista Alfred Letourneur dietro a un’auto opportunamente modificata ha raggiunto 172,032 chilometri orari. La risposta di José Meiffret non tarda ad arrivare. Il 13 ottobre 1951 dietro a una monoposto da Gran Premio, una Talbot 4500 pilotata da Yves Giraud-Cabantous campione francese di automobilismo, vola a 175,287 chilometri orari. Da quel giorno la caccia ai record diventa una vera ossessione per l’ormai quasi quarantenne ciclista francese sempre sostenuto da una volontà d’acciaio e da un coraggio estremo a dispetto di un fisico non eccezionale.
Esattamente due anni dopo, il 13 ottobre 1953, all’Autodromo di Linas-Montlhéry tenta di migliorare il suo Record dell’Ora e del chilometro lanciato ma all’uscita da una curva sopraelevata dietro a una motocicletta, mentre procedeva a 140 all’ora, è vittima di una rovinosa caduta che lo fa rotolare per più di cento metri sull’asfalto mentre cerca di proteggersi la testa con le mani. Tra lo stupore dei presenti si rialza in piedi per poi stramazzare a terra privo di conoscenza. Trasportato in un ospedale di Parigi, a una quarantina di chilometri, gli riscontrano fratture multiple al cranio in ben cinque punti. Per diversi giorni resta in coma, lottando disperatamente tra la vita e la morte. Dopo una lunga convalescenza, uscito dall’ospedale decide di entrare in un monastero di trappisti in Provenza per condurre una vita ritirata e austera. Tra meditazioni e preghiere fa di tutto per ritemprare lo spirito, la volontà e il coraggio per prepararsi a nuovi tentativi di record quelli che lui definiva “I miei appuntamenti con la morte”, che sarà anche il titolo di un dei suoi libri di successo. Uscito rinfrancato dal monastero nel 1955 inizia a viaggiare in Francia e in Europa alla ricerca di piste e autostrade con un manto stradale liscio e scorrevole. Arriva anche a Monza, in quel momento la pista più veloce del mondo trovando però i rettilinei troppo corti.
Nell’ottobre 1955 è protagonista di un altro spaventoso incidente per un colpo di vento laterale da cui però esce completamente illeso. Poi, nel 1956, compie una serie di tentativi falliti per diversi motivi, che però non sono abbastanza per farlo desistere. Fino a quel momento José Meiffret ha usato una normale bicicletta da stayer con qualche piccola modifica, montando un rapporto 124×12 con sviluppo ogni pedalata di metri 22,04. A questo punto si prende una lunga pausa. Torna sulla scena nel 1961 migliorando il suo primato di 175,287. In tre tentativi tocca prima 176,470, poi 176,560 e infine 186,625 km/h. Non abbastanza per soddisfarlo.
UNA LUNGA PAUSA
Ricompare sulla scena l’anno dopo, nel 1962. Il 20 giugno in Germania, nei pressi di Lahr nel Baden – Wurtemberg, non lontano dalla Selva Nera, su un un tratto di autostrada che sarebbe stata inaugurata il giorno seguente, José Meiffret, stavolta dietro a una Mercedes 300 SL appositamente attrezzata e pilotata da Adolf Zimmer, percorre un chilometro alla velocità di 204 chilometri orari spingendo un rapporto impossibile: 142×12, 25,24 metri a ogni pedalata!
Per il piccolo grande uomo basso di statura, leggero come una piuma e una volontà d’acciaio, da molti ritenuto completamente pazzo, è un’enorme soddisfazione. Il sogno della sua vita si è avverato. È il primo ciclista a superare il muro dei duecento chilometri all’ora.
Non appena concluso il tentativo, il pilota dell’auto Adolf Zimmer dichiarò: «Quando la lancetta del tachimetro della Mercedes 300 SL era esattamente posizionata sui 200 chilometri orari, attraverso il citofono sentii la voce di José che mi urlava di accelerare. In quel momento ebbi quasi un mancamento e un brivido mi corse lungo la schiena».
Dieci anni dopo, nel 1972, il medico californiano Allan Abbot sul Lago Salato nello Utah, dopo sette tentativi, supera il limite di 223 all’ora. Questa però è un’altra storia.
A cura di: Franco Varisco