Nel suo primo decennio di vita il velocipede ha avuto un’evoluzione tecnica di notevolissima importanza con applicazioni meccaniche che ancora oggi costituiscono elementi irrinunciabili anche alle moderne ebike.
In seguito, l’acquisizione di nuove tecnologie e di nuovi materiali ha permesso un costante miglioramento di quelle applicazioni. In questo numero di Biciclette d’Epoca e nel prossimo parleremo degli albori di quelle applicazioni, dal telaio, alla ruota libera, dai raggi ai cuscinetti a sfere, tracciando soprattutto l’aspetto storico, mentre nella nuova rubrica Genesis si parlerà dettagliatamente ed esclusivamente dell’evoluzione tecnologica. Riteniamo però sia indispensabile dare una sguardo al complesso panorama storico politico di quel periodo (1861-1871) per contestualizzare il nostro velocipede con il mondo che lo ha visto nascere.
Storia di un’Europa divisa
L’Italia ha risolto proprio all’inizio di quel decennio la questione della sua unità, che ha imposto di affrontare da subito due problematiche importantissime: quella delle prime migrazioni interne e quella della questione meridionale. Dal punto di vista velocipedistico non si hanno notizie precise di costruttori in quegli anni. A Milano, città di assoluta eccellenza nella meccanica, erano attive le officine di Giovanni Greco (1867), di C. Baroni (1869, che poi diventerà ditta Luigi Pisa) e Bartolomeo Balbiani (1870). Anche in qualcuna delle altre maggiori città vi era sicuramente la presenza di costruttori, prova ne sia che Re Vittorio Emanuele II si farà costruire un velocipede tipo Michaux dall’officina Galizio di Firenze, all’epoca capitale d’Italia (ne abbiamo parlato nel numero 34).
A livello europeo si assiste a una continua escalation della tensione tra la Francia di Napoleone III e la Prussia del cancelliere Otto Von Bismark, che sfocerà proprio nella guerra franco – prussiana di fine decennio. L’Inghilterra è nel pieno del periodo vittoriano, ha appena chiuso la “gestione diplomatica” dell’unità d’Italia ed è nel momento di massimo sviluppo coloniale, perciò guarda di più agli interessi del suo impero che all’Europa.
Per questo, il velocipede e la sua economia vivono in quegli anni una storia quasi esclusivamente francese se non addirittura parigina. Storicamente è ormai accertato che la pedivella fu frutto del genio di Pierre Lallement ma certamente il primo sfruttamento commerciale è opera di Pierre Michaux. È ormai anche abbastanza pacifico che la prima applicazione della pedivella avvenne intorno al 1861 e non 1855 come sostenuto da alcuni.
Dal 1867 al 1870 si assiste, soprattutto a Parigi a un proliferare di imprese che producono velocipedi. Si pensi che da marzo a ottobre del 1869 sono ben nove le aziende costruttrici di velos che nascono nella capitale francese. Ma anche a Lione si stabiliscono nello stesso anno almeno altre sette imprese. Ovviamente c’è la necessità di far conoscere questa stupefacente macchina, nascono così i primi expo dedicati ai velocipedi. Le esposizioni sono organizzate in concomitanza con le gare, in particolare è da ricordare per la sua importanza quella di Carpentras tenutasi dal 7 all’8 agosto 1869 che vede assegnare il primo premio per l’eccellenza costruttiva proprio alla fabbrica Michaux et Cie.
Questo fervore sarà bruscamente interrotto dalla guerra franco – prussiana, persa dalla Francia, la quale andrà incontro a una profonda crisi. Infatti Napoleone III viene destituito e vede la nascita della Commune, con l’avvio di un periodo confuso e incerto dal quale nascerà la Terza Repubblica. Anche l’Inghilterra inizierà a conoscere il velocipede grazie all’opera dei produttori parigini. Sulla rivista The English Mechanic del 28 giugno 1867, si legge che il miglior velocipede commercializzato in Inghilterra è il Michaux. In effetti questa azienda aveva aperto dall’inizio di quell’anno ben cinque depositi a Manchester, Glasgow, Liverpool, Southport e Dublino che andavano ad affiancare quello già in attività a Londra.
Un importante stimolo alla produzione di grande serie di velocipedi inizierà a Coventry nel febbraio del 1869 per merito di una commessa di 400 velocipedi assegnata dalla ditta francese Turner et Cie alla ditta, produttrice di macchine per cucire, Sewing Machine Co.. In seguito Coventry divenne l’indiscussa capitale del ciclo britannico, la cui produzione andrà a sostituire quella dei telai e delle macchine da cucire, come per esempio nel caso di Singer.
Alla fine del 1869 i fabbricanti inglesi sono quasi un centinaio – 91, per la precisione – divisi quasi equamente tra Londra, Coventry e la vicinissima Birmingham. Molti producono su licenza di ditte francesi. Proprio alla fine di quell’anno, viene organizzato per finalità esclusivamente commerciali l’Expo al Crystal Palace, in un contesto davvero suggestivo e per la durata di oltre un mese dal 6 settembre al 9 ottobre. Il Crystal Palace era un immenso padiglione in cristallo e vetro di ben 84.000 m2 coperti costruito ad Hyde Park nel 1851 in occasione del primo Expo mondiale, tenutosi a Londra proprio in quell’anno.
Il padiglione sarà poi smontato e ricostruito a Sydenham Hill dove finì la sua storia nel 1936 a seguito di un incendio. Proprio con l’esposizione al Crystal Palace pensiamo si possa sugellare l’avvio della competizione tecnico-commerciale franco-inglese che caratterizzerà tutti i decenni a venire almeno sino alla Prima Guerra Mondiale.
perfezionamento meccanico
Uno degli elementi più criticati del velocipede era la fatica che si doveva fare per farlo procedere.Ruote in legno e ferro, alte e instabili su quelle strade in terra battuta, pavè o selciati producevano un vero e proprio scuotimento fisico, tanto che gli inglesi lo chiameranno boneshaker – scuoti ossa. Se poi capitava la fortuna di trovare una lieve discesa, si doveva avere quello che i francesi denominano repos pied, poggia piedi, per poter abbandonare l’appoggio sulla pedivella onde evitarne l’insostenibile velocità di rotazione.
Tutte le prime invenzioni sono dedicate alla ricerca della rimozione di queste scomodità e all’alleggerimento dello sforzo fisico. Già sul finire degli Anni ‘60 dell’800 c’è chi immagina di eliminare totalmente il peso della pedalata applicando motori magneto-elettici (Mariè – Parigi 1868), ma non è dato sapere se dalla concezione teorica si sia mai passati alla pratica. Invece Roper applicherà, negli USA, un motore a vapore al velocipede, mentre Loius Guillaume Perreaux in Francia applicherà prima uno e poi due volani per alleggerire l’impegno della pedalata.
Al di là di queste invenzioni estreme, che oggi sono relegate al mondo delle curiosità, altre sono state le interessanti applicazioni per ridurre l’impegno fisico nell’uso del velocipede anche al fine di aumentarne le platea degli utilizzatori. Iniziamo quindi a vedere quale fu l’evoluzione meccanica partendo da quello che è sempre stato l’elemento più importante: il telaio
Il telaio e la forcella
I telai delle Michaux sono sostanzialmente di due tipi: il cadre droit (telaio diritto), che si mantiene sempre al di sopra delle ruote caratterizzato da un forcellone posteriore, e il cadre cintré (telaio ad arco), che partendo da sopra la ruota anteriore finisce al mozzo della ruota posteriore. I primi miglioramenti del telaio furono più delle sperimentazioni dei produttori che delle invenzioni vere e proprie.
Il telaio nasce dalla forgiatura per cui, per sua natura, deve essere di ferro pieno. Quello che inizialmente viene fatto per differenziare le varie produzioni è la diversificazione in tipi di colore, in tinta unita o con filetti, con finiture brunite, ramate argentante ed addirittura dorate. Soprattutto nella scuola lionese ci sono stati diversi modelli come i Cadot ed i Gervat costruiti con telaio in legno rinforzato dal ferro nel tentativo di attutirne le vibrazioni ma le loro numerose rotture ne hanno decretato presto l’abbandono. Saranno i fratelli Olivier che introdurranno per primi l’utilizzo del fer creux, ferro cavo, per alleggerire il velocipede.
La forcella anteriore subirà anch’essa una metamorfosi dal ferro pieno (e piuttosto spesso), al ferro pieno ma più sottile e curvo, con rinforzo ai margini per aumentarne la resistenza allo stress fisico. Il ferro cavo sarà un’applicazione importante per poter giungere alla realizzazione di velocipedi più leggeri che vedranno la luce con l’applicazione di due tecnologie interessanti e disponibili nel panorama tecnologica dell’epoca. La prima è quella della costruzione della forcella anteriore in ferro cavo e rastremata verso il mozzo, tecnologia mutuata dalla fabbricazione dei foderi delle sciabole e delle spade. L’altra tecnologia impiegata per il telaio in tubi uniti tra loro, invece, è quella che si ispira alla tecnica di costruzione degli impianti per il trasporto del gas illuminante delle città, che era fatto in tubi di ferro con delle congiunzioni, anche angolari. Nei velocipedi la congiunzione dei tubi veniva fatta saldando una delle due parti da unire.
Risale certamente agli Anni ‘60 dell’800 l’utilizzo della numerazione dei velocipedi. Per la verità già il barone Karl von Drais aveva utilizzato una sua placca con sottostante numero, che aveva però più il compito di certificare il pagamento delle royalties anziché il numero della draisina su cui era applicato. Furono certamente i produttori parigini e in particolare ancora la Compagnie Parisienne ma anche la Michaux Père et Cie ad applicarli. La posizione preferita era sotto il telaio principale nelle vicinanze dello sterzo. Non è però raro trovare i numeri di telaio in altre posizioni anche per la stessa ditta, e a volte lo stesso numero era replicato su più parti dello stesso telaio. I punti in cui si possono trovare sono sulla parte posteriore della testa della forcella o sui due cuscinetti della ruota anteriore.
Alcuni costruttori come Poncet et Baiard, il lionese Gervat e il marsigliese Paranque metteranno il numero punzonato sulla placca che identifica la marca posizionando la stessa in posizioni molto visibili. Un’importante evoluzione subirà anche la sella, che dapprima sarà fissa poi scorrevole sull’asse secondario del telaio. Il materiale, dapprima in legno o ferro forgiato, diverrà poi di cuoio applicato su un telaio in ferro sino a giungere alla più sofistica selle en crin ottenuta con l’applicazione del cuoio su un telaio di ferro e legno imbottita di crine di cavallo.