Lo scalatore più devastante dell’anteguerra ha un nome ben preciso: Gino Bartali. E ben preciso è anche quello della maglia con cui ha costruito gran parte del proprio mito: la Legnano. Ci è sembrato giusto – a un certo punto – raccontare sulle nostre pagine questa storia che è entrata nell’epos del ciclismo, parlando non solo delle imprese ma anche di alcune delle biciclette che Bartali ha pedalato in quegli anni, perché in nessuno altro sport uomo e macchina sono così tanto una cosa sola, una volta molto più che oggi. Gli anni sono quelli che vanno dal 1936 al 1948, quelli in cui il corridore migliore dell’epoca corse nella squadra migliore, i celebri Ramarri di Eberardo Pavesi.
Bartali, però, inizia la sua avventura da professionista nel 1935, quando fu ingaggiato dalla Frejus, “la marca che rivela i campioni” (aveva lanciato Martano e Olmo, lancerà Bizzi, Cinelli e Valetti), rivelandosi subito alla Milano-Sanremo pur avendo solo 21 anni e senza essere stipendiato. Sul Turchino nevica e Gino sulla riviera si ritrova con Guerra che è caduto ed è rimasto attardato dal gruppetto di testa. Assieme rientrano sui primi e Bartali addirittura al Capo Mele stacca tutti. A quindici chilometri dall’arrivo ha due minuti di vantaggio e qui succede il fattaccio: Emilio Colombo (direttore della Gazzetta dello Sport) lo affianca e comincia a fargli cento domande costringendolo a interrompere l’azione di forza che lo avrebbe visto vincitore. Gino pensa ingenuamente di trarre vantaggio da quest’intervista volante, ma in realtà viene ripreso dagli inseguitori, arrivando quarto dietro Olmo, Guerra e Cipriani. Anni dopo lo stesso Colombo gli confessò che lo fece rallentare perché non si poteva permettere che la Classica di Primavera fosse vinta da uno sconosciuto che non aveva nella maglia neanche il nome della squadra. Forse è per questo che Bartali, in carriera, non avrà mai grosse simpatie per i giornalisti.
Problemi quell’anno li ha anche con la squadra che, al Giro d’Italia, fa di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote a favore del capitano designato, Martano. Nonostante questo, vince una tappa e arriva settimo nella generale. In più, nel finale di stagione, Gino vince la Coppa Bernocchi, aggiudicandosi il Campionato Italiano a punti e indossando così la sua prima maglia Tricolore.
Grazie a queste sue azioni, Bartali viene ingaggiato nel 1936 da Eberardo Pavesi, DS della Legnano, con cui correrà fino al 1948, quando deciderà di mettersi in proprio fondando la Bartali, squadra dalla casacca gialla in ricordo della gara a tappe che più l’ha esaltato: il Tour de France. Qui resterà fino alla fine della sua carriera nel 1954.
Sembra che sia stato Learco Guerra a volere Bartali alla Legnano. I due si erano conosciuti nel 1934 quando Gino era ancora dilettante. Era andato a vedere il Giro della Toscana e sperava di poter parlare con il suo idolo, Alfredo Binda. Questi, non solo lo snobbò, ma lo mandò al diavolo! Tutt’altra accoglienza gli riservò invece Guerra, molto più disponibile con i tifosi e che prima gli fece un autografo, poi lo invitò a ripresentarsi il giorno dopo per una foto, mantenendo la promessa. Gino firma dunque col Commendator Emilio Bozzi, che lo strappa alla Bianchi per 22.000 lire contro 12.000 dei biancocelesti. Pavesi, DS Legnano dal ’21 al ’66, è il regista delle operazioni.
LE PRIME STAGIONI
Il ’36 conferma che il neoprofessionista Bartali del ’35 non era stato affatto un fuoco di paglia e lo consacra specialista delle corse a tappe. Comincia la stagione senza particolari risultati se non il Giro della Provincia di Milano, una crono-squadre a coppie che vince con Guerra. Learco ha già capito che Gino può essere il suo erede, al punto di arrivare a dire ai propri compagni di squadra, alla vigilia della corsa rosa: «Se a un certo punto del Giro il ragazzo si trova davanti a me si cambia: io faccio il gregario con tutti voi e lui diventa capitano». Secondo il giornalista e illustratore Carlo Bergoglio (detto Carlin), invece, Bartali non era nella sua annata migliore, forse a causa del servizio militare. Correva male, non sapeva comandare la squadra. Ma questa è stata un po’ la caratteristica del Bartali corridore che lo accompagnerà per tutta la carriera.
Dirà in seguito Magni di lui: «Tatticamente era scaltro, un fantastico stratega. Però non ha mai avuto ai suoi ordini una grande squadra perché non ha mai saputo essere un capitano al passo coi tempi. Con le eccezioni di Corrieri e Pasquini, due grandi collaboratori che avrebbero potuto dargli anche più di quello che lui gli chiese, Gino non faceva il capitano. Se Coppi o io alzavamo un braccio, dopo mezzo minuto la squadra era tutta lì attorno. Bartali, eccezionale tattico di se stesso, non lo era altrettanto nel manovrare la squadra». Nella cronoscalata Rieti-Terminillo di 20 km era addirittura arrivato terzo dietro Olmo, il passista Olmo che gli era stato dietro su tutte le salite delle tappe in linea, e addirittura battuto dal proprio gregario Adalino Mealli. Comunque Gino vince la nona tappa, la Campobasso-L’Aquila, arrivando solitario con cinque minuti di vantaggio sul secondo e andando a indossare la sua prima maglia rosa. Sei vittorie di tappa per Olmo prima del ritorno di Bartali, nella 19a e 20a tappa, che mette ognuno al proprio posto: secondo Olmo terzo Canavesi e quarto il compagno di squadra Adalino Mealli. Oltre alla generale, Gino, inoltre, fa il bis nella classifica come miglior scalatore. A fine carriera, nonostante la pausa dovuta alla Seconda Guerra Mondiale, ne inanellerà ben otto: dal ’36 al ’40 e dal ’46 al ’48, secondo nel ’49 e nel ’50.
Purtroppo, quattro giorni dopo aver toccato il cielo con una mano, quella stessa mano deve seppellire sangue del suo sangue: l’amato fratello Giulio, vittima di uno scontro con un’auto durante la discesa nei pressi di Bagno a Ripoli mentre disputa la Targa Chiari. Gino non tocca la bici per un mese e mezzo, il dolore che lo pervade non ha niente a che vedere con quello che si prova in bicicletta, ma la vita va avanti. Ascolta le parole di Pavesi e del cugino Armandino, ma è soprattutto l’amico più intimo, Emilio Berti – diventato tutore, consigliere e segretario – a convincere Gino a risalire in sella. Adesso ha una motivazione in più per dominare la gara più importante di fine stagione: il Giro di Lombardia. Quell’8 novembre s’invola sul Ghisallo e vince per il fratello la prima delle tre classiche “delle foglie morte” che a fine carriera figureranno nel suo palmarès. Nel frattempo, però, se ne è andato anche Emilio Bozzi, che muore l’11 settembre per un attacco cardiaco. Quell’anno Bartali vincerà anche il suo primo Giro della provincia di Milano, in coppia con Guerra.
Nel ’37 in tanti aspettano Bartali al varco. Deve ancora dimostrare di essere un degno erede di Binda. Lo si considera un buon scalatore, niente di più. Ma Gino – altrimenti detto “Il Pio” – è un uomo di fede. A gennaio viene ricoverato a Careggi sotto cura del professor Torrigiani, che già lo aveva operato al setto nasale, e in quel periodo scrive un memoriale dal titolo “Riflessioni di un uomo che non ride”, da cui riportiamo questo passaggio: «La mia fede in Dio, il mio amore sincero per la religione, mi hanno sempre dato la forza di vincere tutte le cose che da prima ritenevo impossibili e sovrumane, eppure ho lottato, ho vinto». Nel Giro del 1937, ben 3840 km in diciannove tappe i Ramarri vincono la prima cronosquadre della storia della corsa rosa, la Viareggio-Marina di Massa, 60 km. Con Bartali corrono Di Paco, Battesini, Favalli, Mealli, oltre a Guerra, che però fora, e Cazzulani, che rompe il cambio. L’unico che può insidiare Gino per il bis rosa è Giovanni Valetti (di cui parliamo a pagina 52), ma L’Omino di Ferro domina la cronoscalata del Terminillo, vince ancora con una fuga solitaria nella Napoli-Foggia e la “prima” sulle Dolomiti, confermandosi il miglior scalatore al mondo.
A questo punto Bartali pensa di aver chiuso con i grandi giri per l’anno in corso ma, gli cade dall’alto un ordine da Roma: deve andare al Tour de France per dimostrare la superiorità degli italiani. E dire che aveva sempre associato alla bicicletta il valore della libertà, anche di scelta. Va al Tour per quella che, senza la sfortuna tra i piedi, avrebbe potuto essere la prima accoppiata della storia. La squadra non è la Legnano perché si corre per le Nazionali. Nella settima tappa, il 7 luglio, vince a Grenoble ed è la prima maglia gialla per un uomo Legnano. Ha 9’18” di vantaggio sul secondo quando cade nel torrente Colau. Pochi giorni dopo, detronizzato a causa dei postumi della caduta, arriva un altro diktat dai piani alti della politica italiana: si deve ritirare.
I gerarchi non credono più in una sua possibile rimonta, ma solo perché non lo conoscono bene. Gino, con l’amaro in bocca, si deve fermare. A settembre, comunque, vince il Giro del Lazio, valido anche per il Campionato Italiano e guadagnando così la sua seconda maglia Tricolore. E vince poi anche il Giro del Piemonte per un’annata favolosa a soli 23 anni.
PROTAGONISTA AL TOUR
Nel 1938 la Legnano punta al tris al Giro ma, subito dopo aver trionfato per la seconda volta al Giro della Provincia di Milano (con Pierino Favalli) e per la prima alle Tre Valli Varesine, per Bartali arriva, il 4 aprile, un nuovo comando dai “piani alti”: niente corsa rosa, l’Italia deve mostrare i muscoli in Francia, tanto il Giro lo vince lo stesso un italiano. I legnanisti che si devono preparare per questa trasferta sono ovviamente Bartali e Favalli, a cui si uniscono Bini, Bergamaschi, Mollo e Servadei. Il Giro è vinto agilmente da Valetti (Frejus) su Canavesi e Simonini. Se Bartali al primo Giro ha preso le misure per vincere subito il secondo, la stessa cosa accade al Tour: tiene la maglia gialla per dieci giorni prima di entrare da trionfatore al Parco dei Principi a Parigi. La vittoria nella generale è impreziosita da due successi di tappa e dalla maglia del Gran Premio della Montagna: un italiano in giallo 13 anni dopo il bis di Bottecchia e la prima vittoria per un corridore della Legnano.
Nel 1939 l’ombra della guerra si stende sull’Europa e Bartali partecipa alle iniziative dell’Azione Cattolica in favore della pace. Dal lato sportivo, gli obiettivi sono la Sanremo e il Mondiale come corse in linea, nel mezzo Giro e Tour. Ma la guerra va a intaccare tutte le sfere sociali e lo sport non è da meno. Le trasferte all’estero diventano sempre più un miraggio. I francesi non verranno quindi al Giro e i nostri non andranno Oltralpe. La stagione, comunque, prova a partire normalmente.
Sempre con Favalli centra, per la terza volta, il Giro della Provincia di Milano. Il 19 marzo, invece, si corre la Sanremo. Gino, sapendo di essere il favorito numero uno, fa finta di non essere in giornata. Corre di rimessa ma allo sprint vince su Bini e Bailo. È la prima delle sue quattro vittorie alla Classicissima. Meno di un mese dopo, vince per la prima volta il Giro di Toscana. Il 28 aprile parte il Giro d’Italia dove perde per poco, e a pochi giorni dalla fine, da un grintoso Valetti, che bissa il successo dell’anno precedente, ma si consola con l’ennesimo premio per il miglior scalatore. Durante l’estate Pavesi nota un giovane talento al Giro del Piemonte, pur vinto da Bartali: si chiama Fausto Coppi e verrà opzionato subito dalla Legnano.
Per quanto riguarda i Mondiali, che si sarebbero dovuti correre a Varese, dopo l’invasione della Polonia da parte dei nazisti, il 1° settembre del ’39, le competizioni sono annullate. Un mese dopo, Bartali vince il suo secondo Lombardia, ma di lì a poco inizierà non solo il periodo più buio per la storia dell’umanità, ma anche l’azzeramento dei suoi anni più vigorosi. I migliori cinque anni della carriera del corridore fiorentino buttati al vento, sostituiti da quelle medaglie che “non si appendono al petto ma all’anima”, come si avrà modo di scoprire anni dopo la sua morte, quando si renderà nota la sua attività in difesa degli ebrei durante il periodo bellico, che gli valse nel 2013 il titolo di “Giusto tra le Nazioni” da parte dello Yad Vashem, l’Ente Nazionale per la Memoria della Shoah in Israele.
GLI ANNI DELLA GUERRA
L’anno successivo, il 1940, è quello che rivela Fausto Coppi al mondo, ma prima c’è ancora tanto, tantissimo Bartali. In primavera vince di nuovo il Giro della Provincia di Milano, ancora con Favalli, e poi bissa sia la Milano-Sanremo sia il Giro di Toscana, affermandosi come favorito assoluto in vista del Giro d’Italia. In una riunione prima del Giro, Mario Della Torre, braccio destro di Pavesi ebbe a dire ai corridori la solita frase che gli piaceva tanto ripetere: «E ricordatevi ragazzi che quando i giornali scriveranno “i verdi Legnàno” dovranno intendere “i verdi légnano”, con l’accento sulla “e”, voce del verbo legnare!». Bartali era il capo indiscusso di questa banda. L’Avocatt, Eberardo Pavesi, aveva deciso per questo Giro di far fare a ogni atleta un cappellino di colore diverso, in modo da poterli riconoscere meglio da lontano: bianco per Bartali, rosso per Favalli, verde per Magni, giallo per Coppi, viola per Succi, rosa per Ricci e nero per Ronconi. Ronconi, soprannominato il prete per via di un fratello parroco, si era schernito subito tra le risate generali degli altri.
Ma la sorte peggiore, quando le cose si fanno serie, capita proprio a Bartali, che cade nella seconda tappa e s’incrina il femore. Riesce comunque a vincere due tappe ma è il Giro che segna la nascita del mito di Coppi. È il 9 giugno del 1940. Il giorno dopo l’Italia entra in guerra ma si continua a correre. Poco ma si corre. A luglio vince il Giro di Campania e ad agosto il Gran Premio di Roma. A ottobre trionfa per la terza volta al Giro di Lombardia, indossando lo stesso giorno, il 27 ottobre, anche la maglia Tricolore, per la terza volta, al termine di una stagione a punti su sette prove di cui la classica lombarda è soltanto l’ultima. Il 14 novembre viene unito in matrimonio ad Adriana, la donna che lo accompagnerà per tutta la vita, dal Cardinale Elia Dalla Costa. Profondo ammiratore di Gino, l’alto prelato lo apprezza sia come uomo sia come ciclista.
Nel 1941 Gino partecipa a sole quindici corse vincendone solo due: il Circuito dell’Angelo a Benevento e la Coppa Marin a Pavia. Si corre nella speranza che finisca tutto presto ma la testa è altrove. C’è da dire che, a un occhio ma soprattutto a un orecchio attento, non sarà sfuggito certo il cambiamento di Gino tra prima della guerra e dopo. Nei primi anni tra i professionisti, infatti, è taciturno e poco comunicativo; dopo diventa sarcastico, loquace, polemico e mordace. Non solo, i suoi detrattori cominciano a dargli dell’avaro: magari lo è, magari è solamente parsimonioso. La gente non sa della sua beneficenza perché, come ebbe a dire in età avanzata, “il bene si fa e non si dice”.
L’ultimo squillo prima di una lunga pausa è il Giro di Guerra del ’42, otto prove distinte con una classifica a punti. È la costanza a permettergli la vittoria finale senza tagliare mai per primo il traguardo ma arrivando sempre tra i piazzati: decimo alla Sanremo, ottavo al Giro del Lazio, secondo nel Giro di Toscana, quarto nel Giro dell’Emilia, quinto nel Giro del Veneto, secondo nel Giro del Piemonte, quarto nel Giro di Campania e secondo al Lombardia. Da segnalare un episodio curioso a luglio: approfittando di una corsa che si svolgeva a Legnano, Gino vi si reca con il cugino Armando Sizzi e altri amici corridori. È un viaggio disastroso, fatto di bombardamenti, allarmi e corse per i campi, al punto che Bartali arriva che la corsa è già conclusa. Ne approfitta allora per recarsi a Brescia a rassegnare le dimissioni dalla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, di cui faceva parte per ragioni sportive.
Nell’agosto del 1943 i bombardamenti aerei alleati che colpiscono Milano distruggono la sede della Legnano e i magazzini. Ovviamente si corre sempre meno, con ben altre priorità. Gino pedala quando può, e oltre alle gambe allena anche il cuore: è bradicardico e, anno dopo anno, ne ha aumentato il volume e ridotto i battiti. Oltretutto, da sempre, si è imposto una vita quasi da clausura: a letto entro le 22 e sveglia alle 7, tanta ginnastica e pochi colpi di testa. Negli anni della guerra (ma non solo) lo ha aiutato tanto la fede. A chi lo denigrava sapeva rispondere: «Io sono un povero stradino, ignorante anzi, con scarsa educazione, però rispetto tutte le opinioni e voglio e pretendo di essere rispettato».
SI RIPARTE
Nel ’45 l’Italia cerca di tornare fin da subito a una vita normale. Coppi, che in guerra finì addirittura prigioniero, è passato ai rivali della Bianchi. Gino ha già 31 anni. Nel ’46 riparte anche l’attività sportiva e l’esordio di Bartali è col botto. Vince a Pescara la Coppa Matteotti, e al di là delle Alpi, il più duro Campionato di Zurigo. Nel mezzo, prende vita il duello con Coppi. Alla Sanremo, con l’Airone che trionfa, i distacchi si misurano non con il cronometro ma con l’orologio: il secondo, il francese Lucien Teisseire, arriverà dopo 14 minuti, poi a 18’30” un gruppetto regolato dai legnanisti Ricci e Bartali, arrabbiatissimo con i vertici della squadra. Non gli va giù che il “nemico” prenda molti più soldi di lui. Si va avanti, un accordo si trova, e Gino vince il Giro d’Italia della rinascita proprio su Coppi, portando la Legnano a pareggiare il conto con la Bianchi. A Milano, però, quanti fischi per la sua vittoria con soli 47”. Domina, infine il Giro di Svizzera.
Nel ’47 i duellanti invertono le vittorie di peso dell’anno prima, con la Sanremo che va a Bartali e il Giro a Coppi. La Classicissima di Primavera viene domata dal toscano nel modo più clamoroso. A meno di 100 chilometri dall’arrivo, Gino è in ritardo di 11’. Riesce però a recuperare lo svantaggio e a imporsi con quasi 4’ di vantaggio. Nel Giro di Coppi invece, il bottino di Ginettaccio è di tutto rispetto: una vittoria di tappa, tredici giorni in maglia rosa e la “solita” classifica di miglior scalatore. È un Giro segnato dal noto incidente meccanico per Bartali nella Pieve di Cadore-Trento, dove perde oltre 40” per problemi al cambio dando via libera a Coppi. Da segnalare un episodio curioso che la dice lunga sul carattere del campione fiorentino: nella Vittorio Veneto-Pieve di Cadore, un tizio gli grida “Prete falso!”. Bartali scende di sella, lo prende a pugni, risale e vince la tappa. Il mese dopo nel Giro di Svizzera, domina la gara davanti a Bresci, a 22’, e Coppi addirittura staccato di 35’! Tutti ricordano il comportamento leale, come sempre, di Gino in gara, quando rincuora il rivale a non desistere in vista della tappa a cronometro, che Coppi infatti vince.
ULTIMI SQUILLI IN LEGNANO
Nel ’48 Bartali vince il Giro della Toscana per la terza volta da vero dominatore. Sulla montagna pistoiese sferra l’attacco decisivo scattando ripetutamente. Al vecchio Velodromo delle Cascine è l’apoteosi. Sulle sue ultime trionfali pedalate vengono gettati fiori anche da un aereo. Quell’anno, però, per la prima volta non brilla al Giro: solo ottavo nel primo dei tre successi del “Leone” (non ancora delle Fiandre) Magni. Purtroppo la rivalità con Coppi (che poi si ritirerà) e una caduta nella Parma-Viareggio sono determinanti.
Poi a luglio il fantastico bis in terra di Francia, a dieci anni di distanza, quando sembrava che una sanguinosa pagina della storia dovesse essere scritta nella vita del nostro Paese a causa dell’attentato a Togliatti. E invece, grazie anche all’interessamento diretto del Presidente della Repubblica Alcide De Gasperi, tutto si placa di fronte alle superbe gesta del corridore fiorentino (l’abbiamo raccontato su BE35). Sono queste le condizioni migliori per Gino, che si esalta nelle difficoltà, nel caldo estremo come sotto la pioggia battente, nella fatica di una rimonta solitaria come nel dolore del tradimento. Bartali aveva sempre affermato che per vincere il Tour oltre alle gambe occorreva avere una squadra di fedelissimi, un regista, un “direttore d’orchestra” e una scrupolosa preparazione logistica. Binda lo appoggia in tutto. Vince subito la prima tappa, poi a Lourdes e Tolosa. Però a Cannes è a 20’ in ritardo. Sulla Croce di Ferro resuscita, vince tre tappe consecutive e su che percorsi! Infine, vince a Liegi e conclude con 26’16” sul belga Schotte e 28’48” sul francese Lapébie, alla strabiliante media di 33,420 km/h. Bartali vince anche il Gran Premio della Montagna e anche la squadra italiana è prima. Al rientro in Italia, per via dei risvolti sociali delle sue imprese che avevano pacificato il Paese, è ricevuto dal Presidente della Repubblica e ammesso, di nuovo, alla presenza del Santo Padre Pio XII, al secolo Enrico Maria Pacelli.
Il Mondiale di Valkenburg di fine agosto è invece l’ultimo corso da uomo Legnano. Purtroppo, si verifica quello che Bartali aveva paventato: il disaccordo tra gli italiani, oltre alla scarsa conoscenza del percorso mina la consistenza della squadra e fa il gioco dei rivali. Al ritorno, un processo sommario con la squalifica per lui e Coppi, senza nemmeno venire ascoltati. A Napoli, al congresso dell’UVI, Bartali alza la voce anche nel nome del rivale. Il 7 dicembre viene così cancellata la punizione. È l’ultima pagina in Legnano: dal 1949, come detto, il campione fiorentino correrà con una propria squadra, la Bartali.
Dalla Legnano sono passati i migliori campioni: negli Anni ’10 Lucien Petit-Breton, un “pioniere”; negli Anni ’20 Giovanni Brunero e Costante Girardengo; poi dal ’25 al ’36 Alfredo Binda, colui che ha dominato per un decennio le scene del ciclismo; fino alla Locomotiva umana, Learco Guerra, che fu con i Ramarri nella fase calante della carriera, dal ’37 al ’40. Se Coppi dal ’39 al ’42 è stato una rosa che è sbocciata in seno alla Legnano, senza ombra di dubbio Gino Bartali dal ‘36 al ’48 ha rappresentato per la squadra di Pavesi una quercia: forte, solido, duraturo. A differenza di Binda ha saputo cogliere vittorie di prestigio non solo in Italia ma anche all’estero. Gino ebbe dalla sua l’entusiasmo clericale: quando correva lui le strade si arricchivano di frati, preti e suore e seminaristi.
A chi, nel ’49, andava a dicendo che era l’ora che smettesse rispondeva: «Ancora hanno da estrarre dalla terra il ferro con cui fabbricare l’arpione da attaccarci la Bartali». Ci risero gli ascoltatori, che la giudicarono una spacconata, ma lui no. «Vedrete!», rispose. E pochi mesi dopo trionfò alla Sanremo battendo velocisti di fama mondiale. La carriera di Bartali andò avanti fino al ’54. In vent’anni di attività aveva pedalato qualcosa come 153.630 chilometri. Siamo certi che se a fine ’48 non avesse ceduto alle lusinghe di Santamaria, che riuscì a ghermirlo per fondare la Bartali nel ’49, Gino avrebbe raccolto alla Legnano molto di più. Avrebbe dovuto pensare solo a pedalare e non a fare il manager.
Quello tra Bartali e la Legnano resta comunque un legame che ha fatto la storia del ciclismo. Quello tra Bartali e Coppi invece ha fatto la storia (non solo quella di questo sport). Per delineare quello che è stato Bartali, una volta che è rimasto il solo dei due a poterla raccontare, ci affidiamo a quanto scritto dal “divino” Bruno Raschi nel 1979, 19 anni dopo la scomparsa di Fausto e 25 dalla fine della rivalità in corsa con Gino: «Sono passati più di vent’anni da allora e il ciclismo sta ancora aspettando l’eroe che verrà. Tanti corridori hanno continuato da allora a cospargere di fatica il loro cammino, rinnovando nel pensiero dei più vecchi la nostalgia di quel tempo felice, di quando l’Italia, all’indomani di una guerra, si risvegliò nei nomi di Coppi e di Bartali. È difficile, per non dire impossibile, immaginare un’identità con quei giorni lontani. Soltanto Bartali cerca di tanto in tanto di proporcene nuove edizioni con dei racconti di appendice che svaporano in educate polemiche. Ma non c’è più niente da fare o da rifare. I suoi racconti diventano favole. Ed è giusto, in fondo, che sia così».
A cura di: Vittorio Landucci (storia) e Renato Baccanelli (biciclette)
Foto: archivio fotografico Carlo Delfino, Guido P. Rubino, Carlo Carugo
Si ringraziano: il Museo del Ghisallo, Antonio Molteni, Loris Pasquale, Mario Cionfoli.
le BICICLETTE di bartali
Oltre alle imprese sportive, in questo articolo parliamo anche delle bici che Bartali ha usato nella sua carriera alla Legnano, grazie a una rassegna curata da Renato Baccanelli del museo Il Velocipede di Berzo (BS). Sono 3 modelli della squadra corse, dal ’38 al ’48, che possiamo sicuramente attribuire a Bartali. Tutti e tre gli esemplari sono nati dalle mani esperte di Ugo Bianchi, meccanico della squadra Legnano già dai tempi di Binda. I tre telai sono realizzatati con tubazioni in acciaio saldobrasate nelle congiunzioni, dotati di forcella a testa piatta a forma di S, la chiusura del reggisella è sotto l’incrocio tra tubo verticale e tubo orizzontale, caratteristica del marchio Legnano. Osservando le foto dell’uso da parte di Bartali di queste biciclette, si nota un fuorisella particolarmente basso, comune nel periodo, ma un poco più accentuato nel caso di Bartali. Ciò è dovuto a telai con tubo piantone alto rispetto alla sua statura. Restio a grossi cambiamenti, solo con le biciclette di fine carriera passerà a telai con tubo verticale più corto.
1938 LEGNANO ROMA | TOUR DE FRANCE
Collezione: Museo del Ghisallo a Magreglio (CO) – Foto: Guido P. Rubino. Si ringrazia Antonio Molteni
Questa Legnano Roma recante il numero 13 [A] è stata utilizzata da Bartali nel vittorioso Tour de France del ’38. Sul retro del nodo sella, nascosta dalla verniciatura, c’è la punzonatura 37-48 [B], dove 37 è l’anno di produzione e 48 la numerazione progressiva della Squadra Corse Legnano. Il telaio è stato probabilmente riverniciato di giallo prima del Tour, colore obbligatorio. Anche le bici dovevano essere tutte uguali, ma fu concesso alla squadra italiana di usarne di proprie. Sulla bici si notano comunque anche i filetti color blu, la scritta Legnano sul tubo obliquo e il logo Legnano sul tubo di sterzo. Le congiunzioni sono lavorate con rientro a forma di chiave [C] come nelle Roma degli anni precedenti, sul tubo piantone è ancora presente l’oliatore e sulla scatola del movimento un ingrassatore [D].
Il cambio è un Vittoria Margherita a selettore lungo [E], con la scritta “Vincitore Campionato del Mondo” (in seguito “Tour de France”), che opera su una ruota libera a 4 velocità con mozzo posteriore non più a doppia filettatura (e quindi senza pignone fisso giroruota) [F]. Movimento centrale e pedivelle, con all’interno di un rettangolo la scritta “Legnano”, sono Magistroni con guarnitura da 49 denti con all’interno le classiche 3 L. Magistroni è pure il movimento di sterzo con calotte a forma prismatica. I pedali sono Sheffield in alluminio. I freni sono Universal Extra in alluminio [G] mentre le leve freno sono sempre Universal brev. 361666 in alluminio.
Le ruote raggiate 40/36 sono assemblate con cerchi Macchi in legno e mozzi FB a corpo in acciaio e flange in alluminio con bloccaggio tramite dadi a farfalla marcati Bell Denose. Al posteriore è montato un disco salvaraggi in alluminio. La piega e l’attacco sono in acciaio, in testa è presente una madonnina votiva. La sella è Brooks [H]. Da notare gli strappa chiodi fissati al perno dei freni e il doppio portaborracce al manubrio. Dal ’46 al ’49 le Legnano Roma si standardizzano, come quasi tutte le altre marche italiane, utilizzando il cambio Campagnolo Corsa, il famoso “due stecche”, montato, con poche differenze, nelle altre due bici descritte.
1946 LEGNANO ROMA | GIRO DI SVIZZERA
Collezione: Museo della Bicicletta di Loris Pasquale a Salcedo (VI) – Foto: Carlo Carugo
La Legnano Roma del ’46 di questa pagina [A] è stata utilizzata da Bartali nel vittorioso Giro della Svizzera del 1946. Il telaio, punzonato 46-21 [B], si presenta col classico color verde ramarro sbiadito dal tempo e dal sole, con il canotto dello sterzo cromato (come la testa di forcella) recante in alto la decal Roma e al centro il logo Legnano in copale, presente anche sul tubo obliquo e su quello verticale. Si differenzia dai precedenti modelli Roma di fine Anni ’30, oltre che per le geometrie più raccolte, per la presenza dei forcellini dentati Campagnolo, necessari al cambio Corsa nella sua versione definitiva, che consente l’utilizzo di una ruota libera a 4 velocità [C]. Le congiunzioni sono lavorate con disegno rientrante a forma di C [D]. Il tubo orizzontale presenta due asole per il passaggio interno della guaina del freno posteriore [E]. I foderi obliqui si congiungono al nodo sella con marcata piegatura finale, come nei precedenti modelli, e ai forcellini con forma a scarpetta piatta [F].
Il movimento centrale è Magistroni con corona, munita ancora di bordatura, da 49 denti con all’interno le classiche 3 L, fissata su pedivella a 3 bracci. Da notare il montaggio della calotta sinistra anche a destra, soluzione pretesa da Bartali a seguito di un problema tecnico capitatogli anni prima, in cui la calotta si era svitata. Le pedivelle hanno la scritta Legnano in corsivo e sono alleggerite. I pedali sono FOM in alluminio con gabbiette Cornez e cinturini Bowden. Anche il movimento di sterzo a forma prismatica è Magistroni.
Le ruote raggiate 40 posteriore e 36 anteriore sono assemblate con mozzi Campagnolo FB a flangia piatta e con cerchi per tubolare in alluminio Fiamme di nuova concezione, brevetto Longhi [G], muniti di boccole ferma-nipples. Freni e leve freni sono Universal brev. 361666 in alluminio. Il manubrio ha la piega in acciaio e pipa Garavaglia sempre in acciaio di 9 cm di lunghezza. Anche qui è presente l’effige votiva della Madonna [H]. La sella è la classica Brooks con canotto reggisella in acciaio.
1948 LEGNANO ROMA | TOUR DE FRANCE
Collezione: Museo del Ghisallo a Magreglio (CO) – Foto: Guido P. Rubino. Si ringrazia Antonio Molteni
Questa Legnano Roma del ’48 con il numero 31 [A] è stata utilizzata da Bartali nel corso del vittorioso Tour de France del ’48. Il telaio presenta sul retro della congiunzione di sella la punzonatura 48-17 [B]. Il tubo piantone misura 56 cm e il tubo orizzontale (di colorazione più chiara, quasi grigia) 55 cm, stimati centro-centro. La testa di forcella è cromata. Sono presenti sul tubo di sterzo le decalcomanie Roma e Legnano in copale. Il logo Legnano è presente anche sul tubo piantone, mentre il tubo obliquo mostra la scritta Legnano in campo rosso. Le congiunzioni hanno disegno diritto [C], con la congiunzione di sella che presenta la parte inferiore più allungata per evitare rotture nella zona dove è presente il taglio per il sistema di serraggio del canotto sella. I foderi alti del carro hanno innesto sui forcellini a scarpetta come nel modello del ’46, è invece più moderno e lineare l’innesto al nodo sella.
Il montaggio del cambio è sempre Campagnolo Corsa [D]. Qualche differenza è presente su parti di alcune altre componenti. La corona da 49 denti con le classiche 3 L [E] non ha più la bordatura, si presenta a bordo piatto, ed è montata su una pedivella a due braccia col terzo punto di appoggio solidale al braccio della pedivella medesima. Anche qui è confermato il montaggio della calotta di sinistra a destra, con l’aggiunta di un ulteriore sistema antisvitamento tramite un bulloncino sotto la scatola del movimento centrale [F]. Le calotte dello sterzo, su questa bici, hanno forma circolare con la parte centrale zigrinata e dado di controchiusura sempre a forma prismatica. I pedali sono i FOM in alluminio muniti in questo caso di gabbiette Cristophe. Confermati rispetto al modello del ’46 freni e leve freni Universal brev. 361666 [G], piega e attacco manubrio [H], il montaggio delle ruote e la sella Brooks. Nel Tour del ’48 Bartali, come si evince da alcune fotografie, utilizzava nelle tappe di alta montagna una guarnitura a doppio plateau e deragliatore centrale Simplex, sistema utilizzato per la prima volta da Robic nel Tour del ’47. Non possiamo stabilire, dalla documentazione attuale, se la bicicletta usata in quei frangenti fosse una seconda bicicletta o se il meccanico dovesse provvedere ogni volta al montaggio e smontaggio di questi componenti, lavorando sempre sullo stesso mezzo.