All’Accademia di Brera di Milano si è tenuta, dall’11 luglio al 3 agosto 2019, una mostra dal titolo: “A story that wasn’t”.
Una mostra che ha illustrato come quello che noi etichettiamo come “replica”, “copia”, “falso” sia invece fondamentale per raccontare la verità, l’originalità di un evento, di un oggetto, di un’opera d’arte. Recita la brochure della mostra: «Talvolta per comprendere un concetto è necessario scandagliarne l’opposto perché complementare. Basti pensare alla più semplice coppia di contrari: luce e buio, pieno e vuoto, vero e falso. Due facce della stessa medaglia. Il concetto di falso quindi permette di accedere alla verità, all’essenza delle cose».
Le repliche nell’arte
Molti artisti giocano sull’utilizzo dell’invenzione o la manipolazione come modo di definizione di realtà alternative o con l’intento di riportare in vita opere del passato che meritano la possibilità di essere fruite nuovamente. Frequente è ad esempio l’utilizzo del remake e del reenactment. Il primo è una pratica che riguarda soprattutto opere cinematografiche che nascono dalla copia o manipolazione di film e video originali. Il reenactment invece è una vera e propria ri-messa in scena di performance o azioni storiche o invenzione. La copia ha origini molto antiche. Nella cultura romana era una pratica comune “copiare” gli originali greci come fonte di continua ispirazione. Ciò ha garantito una sorta di immortalità alla produzione artistica tra le più floride del mondo occidentale, a cui ancor oggi gli artisti si ispirano e che altrimenti non avremmo mai potuto conoscere. Quindi la “copia” ha un valore non trascurabile nella diffusione del sapere. Non resta quindi che domandarci se sia più sensato concentrarci quindi sull’autore o sul messaggio che l’opera riesce a diffondere, anche se frutto di copia e/o manipolazione.
In fin dei conti potremmo paragonare il “falso”, o se usiamo un sostantivo più positivo come “replica” o “copia”, a una parabola del vero che ci permette attraverso la diffusione di un racconto, di un documento e/o di un oggetto riprodotto di poter far rivivere una verità storica ormai ritenuta cancellata. Queste repliche (opera dello stesso autore dell’originale) e/o copie (generica riproduzione di un autore diverso) possono quindi permettere a tutti noi contemporanei di assaporare, vedere, toccare una storia, un oggetto, un’opera d’arte, un documento che ai più risultava sconosciuto o irraggiungibile.
E nel velocipedismo?
Ma quindi, se è così nell’arte perché questo concetto non può essere “passato” anche al mondo delle biciclette d’epoca, dove il dibattito fra gli addetti e gli appassionati sulle repliche o copie di velocipedi originali è a dir poco molto vivace e a volte foriero di tempestose discussioni? La questione non è banale. Come per le opere d’arte, anche nel campo del velocipedismo se queste copie o falsi d’autore vengono costruiti e realizzati a scopo fraudolento, imitando illegalmente marchi e modelli (vedi lo scandalo attualissimo dei falsi telai di bici di marchi prestigiosi fabbricati in Cina e poi venduti come originali) al fine di vendere la replica come originale garantito, si rientra nel Codice di Procedura Penale per aver commesso vari reati fra i quali la truffa e la contraffazione.
Per questo molte volte i concetti di finzione, copia e riproduzione sono elementi che hanno acquisito nella storia un’accezione negativa perché ricondotti a un intento ingannevole volto al guadagno facile e alla contraffazione di beni. Ma non è di questo “lato oscuro” che vogliamo parlare ma di come il mezzo storico utilizzi il “falso” – ovvero la copia – per rivitalizzare il suo “vero” originale in modo da far vivere e rivivere profonde emozioni e permettere a molti appassionati di avvicinarsi a bici e velocipedi rarissimi, costosissimi e a volte irraggiungibili. Un esempio lampante e molto vicino a noi è rappresentato dalle repliche delle bici di Giro e Tour del 1998 di Marco Pantani: chi si può permettere una bici del genere, a patto di trovarla?
Spunti che portano a riflettere sulla relatività del concetto di vero e falso e di conseguenza sulla illusione emotiva della storia stessa, e che senza dubbio saranno in grado di suscitare un vivace dibattito ben oltre queste pagine.
Biciclette riprodotte
Parlando di bici, ma soprattutto di repliche e/o copie di velò importanti originali, ci sono due esempi che vale la pena di fare: la celeberrima Draisina e la bici da corsa Labor Monobras. Due mezzi storici di anni ed epoche lontane fra loro ma che per storia, tecnologia e passione sono per certo tra gli esemplari più affascinati. Avere gli originali è pressoché impossibile, sia per la rarità sia per i costi proibitivi anche nel caso rarissimo che si riuscisse a trovarne. Come fare, quindi, ad avvicinarsi a questi sogni proibiti per poterli rendere reali e fruibili a un eventuale pubblico di appassionati e poterne raccontare le storie e vicessitudini? L’unica via è quella delle copie. Lo scriviamo dopo aver affrontato in passato questi due progetti, ovviamente essendoci fatti aiutare da un team di esperti, piccoli geni nella lavorazione dei materiali e nell’utilizzo di tecnologia ormai obsoleta che sono stati fondamentali per poter la realizzazione di queste riproduzioni.
Franco Brotto, amico da sempre, grande artista nella lavorazione del legno e molto attento e pignolo nella rielaborazione di dettagli e particolari, ci ha affiancato nella sfida di riprodurre la già citata Draisina, che com’è noto è considerata la prima bici della storia essendo stata progettata nel 1817 dal Barone Von Drais. Il primo passo da fare è stato la scelta del velocipede originale da replicare. Doveva essere una Draisina facile ed essenziale da riprodurre. La scelta è ricaduta sulla Draisina Boemia 1819, il cui originale è esposto e conservato al West Bohemian Museum in Repubblica Ceca. Secondo passo: la scelta del legno. In questo caso abbiamo optato per il Fraxinus Ornus (frassino nazionale) di Valli del Pasubio, scelto per la sua caratteristica fibra diritta, la compattezza e la durezza e perché è un legno che flette per elasticità intrinseca senza spaccarsi. 35 giorni di lavoro duro e intenso – a volte anche notturno – fatto di foto consumate per mantenere il più possibile la vicinanza con il vero anche in termini di proporzioni. Sessioni di tagli di legno, calibrazioni, forgiature. Alla fine ecco la copia pronta! Una Draisina identica nelle dimensioni e particolarità costruttive all’originale pronta per essere fruibile ai più. Dal 2013 questo falso storico, sempre presentato come tale e mai come originale, è esposto nel Museo Bicicleria ed è stato presentato in numerosissime mostre ed eventi suscitando sempre grande interesse, clamore, emozione per la sua rarità e curiosità.
Il caso Monobras
La Labor Corsa Monobras è soprannominata “Bicicletta Fantasma” per la sua rarità assoluta. Uno o forse due gli esemplari originali conosciuti in tutta Europa. Vista personalmente per la prima e unica volta 9 anni fa a una mostra, passò di fronte agli occhi come una meteora. Si può considerare la bisnonna della più nota e modernissima Cannondale Lefty. Presentata al pubblico dalla ditta francese Labor nel lontano 1909, suscitò clamore inusitato per il suo originale telaio a “ponte ferroviario” orizzontale di rinforzo e per le sue innovazioni tecnologiche sorprendenti per l’epoca: forcella anteriore a monobraccio sinistro portante (monobras); forcella posteriore a monobraccio rinforzato destro portante con forcellino chiuso al mozzo posteriore; movimento centrale eccentrico per consentire di tendere o detendere la catena su un passo a scatto fisso a unico pignone; cerchi in legno per pneumatici dell’epoca. Peso di questa Formula Uno d’altri tempi: 9,1 kg! Pazzesco!
Chiamiamo Marcello, uomo saggio ed esperto, un genio dalle mani d’oro nella lavorazione dei metalli, grande appassionato del ciclismo d’epoca e grande cultore nel restauro conservativo e restaurativo e già autore di altre copie di bici famose del passato. Di fronte alla richiesta, conoscendo lui bene la bici, in dialetto con inflessione tipicamente veneziana ci dà del matto. Poi però richiama dopo qualche ora e dice: «Mario tu sei matto mai io più di te, dammi tempo, abbi pazienza e la facciamo». Un anno di lavoro certosino e minuzioso partendo da un telaio modello R italiano fine Anni ’20. Ma il risultato alla fine è a dir poco strepitoso. Come non chiamare “artista” Marcello, che a oltre 70 anni è in grado di riprodurre un gioiello simile in tutti i suoi particolari costruttivi?
Dal 2017 questa replica della Labor Monobras Corsa è sempre presenze nelle mostre e eventi organizzate dal Museo Bicicleria ed è uno dei velocipedi più ammirati e apprezzati. Viene presentata come “copia”, definizione che non è mai stata un elemento di debolezza e che non descrive certo un valore minore o secondario dell’oggetto ma un plusvalore, evidenziandone la difficoltà di riproduzione e la genialità di chi l’ha costruita. Alla gente interessa poter ammirare un oggetto altrimenti irraggiungibile e per molti mai esistito o visto.
In conclusione, mostrare dei “velocipedi copiati” permette di ripresentare un pezzo di storia e di parlare dei questi piccoli, grandi artisti che ancora oggi sono in ancora in grado di realizzarli. Ci sono delle storie da raccontare e da ascoltare, e le biciclette – originali o in copia – servono proprio a questo. Il collezionismo può assumere una anche una forma privata, ovviamente, che però impedisce di trasmettere un messaggio potente. Quello che la bicicletta, con la storia sua e dei suoi corridori, esprime grandissimi valori positivi che oggi più che mai meritano di non essere dimenticati.