Alcuni pensano che la corsa ciclistica più dura mai disputata sia stato il Giro del 1914, terminato da appena 8 concorrenti, oppure il Tour del 1911, dove la gara affrontò le terribili salite del Telegraphe, il Galibier il Tourmalet e l’Aubisque.
Ma non è così. Nel Circuito dei Campi di Battaglia, che si tenne nel 1919 a meno di sei mesi dalla fine della Prima Guerra Mondiale, c’è stata una tappa dove un unico corridore è riuscito ad arrivare lo stesso giorno in cui è partito mentre gli ultimi hanno impiegato ben 39 ore. Un percorso totale di 2000 chilometri attraverso il “fronte occidentale” da percorrere in sette tappe. Molti dei concorrenti avevano preso parte agli eventi bellici che si erano da poco conclusi. La gara attraversò le aree di Francia, Belgio e Lussemburgo. Le strade erano distrutte, le tappe lunghissime e il tempo inclemente con neve, grandine, pioggia e vento. Una corsa così dura da non aver avuto una seconda edizione.
A organizzare l’evento fu Le Petit Journal, un quotidiano parigino repubblicano e conservatore nato nel 1863, che nel 1890 arrivò a vendere un milione di copie al giorno e che cessò di esistere nel 1944. Le più grandi gare, dal Tour de France al Giro d’Italia, dal Fiandre alla Sanremo, dalla Roubaix al Lombardia, sono state ideate da uomini “di penna”, che si davano da fare per creare eventi che attirassero lettori. In quegli anni durante il Tour, infatti, L’Auto passava da 20.000 copie al giorno a 65.000. Non solo. I francesi, dopo l’umiliante sconfitta per mano dei tedeschi nella guerra franco – prussiana del 1870 – 1871 e la conseguente perdita dell’Alsazia e della Lorena, erano diventati ossessionati dalla loro percepita debolezza fisica. Henri Desgrange, ideatore del Tour proprio con L’Auto, aveva descritto i propri connazionali prebellici come: «Stanchi, senza muscoli, senza carattere e senza forza di volontà». La sua proposta fu quella di prescrivere corse in bicicletta massacranti. Le Petit Journal non era comunque del tutto digiuno di corse ciclistiche, aveva infatti già ideato la Parigi – Brest – Parigi nel 1891 e cercava qualcosa che potesse far concorrenza al giornale rivale.
Tutto prese forma a fine 1918, quando nella redazione si pensò di organizzare a Strasburgo, nell’Alsazia tornata da poco alla Francia dopo 50 anni, una serie di eventi sportivi. Tra questi il Circuito, che avrebbe attraversato la cosiddetta “Zona Rossa”, l’area del nord della Francia così definita perché gravemente danneggiata da gas e proiettili, al punto che non sarebbe stata più abitata o coltivata. Un anello che avrebbe toccato: Bruxelles, Amiens, Parigi, Bar-le-Duc, Belfort e Strasburgo. Un mese dopo l’armistizio, Le Petit Journal uscì con questa breve notizia: «Annunciamo semplicemente che tutti gli sportivi – aviatori, ciclisti, automobilisti, calciatori, pugili – tutti senza eccezione saranno interessati a una serie di eventi tra cui un Giro dei Campi di Battaglia che attraverserà tutta l’Alsazia, l’intera Lorena, attraverso il Belgio martirizzato, attraverso tutti quei luoghi le cui catene sono state spezzate dalla Vittoria». Inquadrato in un Festival dello sport di Pasqua, con molte altre specialità coinvolte, per il giornale avrebbe rappresentato un bacino di due milioni di potenziali lettori.
ORGANIZZAZIONE FEBBRILE
Ma mettere insieme il tutto in appena quattro mesi non fu facile. Nelle città le strade erano in pavé, mentre quelle principali in macadam e quelle secondarie erano sterrate, così in caso di maltempo si trasformavano in un pantano di fango mentre con l’asciutto sollevavano nuvole di polvere. Il giornale riuscì a mettere in palio molti soldi per chi avrebbe vinto la corsa, ben 6000 franchi (l’equivalente dello stipendio di un operaio per 4 anni), 4000 franchi per il secondo, 3000 franchi per il terzo fino ai 200 franchi per il decimo. Premi consistenti per i vincitori di tappa, per i piazzati e per la “Lanterna Rossa” (l’ultimo arrivato). Un montepremi totale di 39.300 franchi, una somma enorme nella Francia del Dopoguerra. Il direttore del giornale, Marcel Allain (tra l’altro autore dei popolarissimi romanzi della serie Fantomas), saggiamente cercò aiuto in Alphonse Steinès, il braccio destro di Desgrange a L’Auto, che aveva lavorato alla Parigi – Roubaix. Resta da capire perché Desgrange abbia permesso al suo braccio destro di aiutare un altro quotidiano a organizzare una corsa a tappe. Forse che il patron de L’Auto avesse pensato che certe ricognizioni su quelle strade sarebbero poi tornate utili per l’organizzazione del Tour de France? Oppure, più malignamente, che avesse incoraggiato Steinès a pianificare un percorso così duro da far diventare la gara un totale fallimento? Chissà…
La classifica era a tempo e come nella tradizione dell’epoca ognuno era gregario e meccanico di se stesso, vietati gli aiuti esterni e il cambio. A quei tempi, i “Routiers” dovevano il loro successo tanto alla resistenza fisica quanto all’abilità meccanica. Essere veloci se poi si impiegavano 20 minuti per sostituire una gomma non bastava. Il giornale offriva una diaria per mangiare e dormire e dei ristori lungo il percorso. Più precisamente, i concorrenti avrebbero trovato, più o meno a metà percorso, un parco chiuso dove mangiare e bere in 5 minuti. Al seguito 6 vetture dell’organizzazione. Vietata la partecipazione a tedeschi e austro-ungarici. «Ne abbiamo visti troppi in guerra», scrisse il giornale.
Molte le defezioni, considerato che oltre 60 professionisti avevano lasciato la vita in guerra, tra cui campioni illustri del calibro di Lucien Petit-Breton, Francois Faber e Octave Lapize, mentre molti di più erano feriti, mutilati, debilitati. A metà febbraio gli iscritti erano solamente 10, a fine marzo 40, ma poi il numero salì a 140 e presero effettivamente il via, il 28 aprile 1919, in 87: non pochi se pensiamo che il Tour di quello stesso anno vide ai nastri di partenza 65 corridori. Non tutti avevano una bicicletta da corsa, pochi una preparazione fisica adeguata. Belgi, francesi, uno svizzero e un tunisino, Neffati, primo africano a partecipare al Tour nel 1913. Tra i nomi più noti Oscar Egg, Jean Alavoine e Lucien Buysse. Zone disastrate, alberi frantumati, strade piene di buche, vegetazione rara e sostituita da carcasse di veicoli militari, case ridotte a cumuli di macerie, croci con nastri blu, bianchi e rossi: questo lo scenario in cui si sarebbe corso.
1° Tappa – 28 aprile 1919
Strasburgo – Lussemburgo 275 km
Nonostante fossero le 5 del mattino, nei locali del Grand Café de l’Univers vi era un gran movimento. I corridori si spingevano nel fare la fila per ottenere i propri numeri di gara dai commissari. Molti dei corridori si rivedevano dopo molto tempo. Qualcuno guardava fuori dalla finestra bevendo qualcosa di caldo o un brandy, che li avrebbe scaldati ancor di più. Fuori, nonostante il freddo, migliaia di persone affollavano la piazza in attesa della partenza. Videro uscire lo svizzero Oscar Egg, Paul Duboc il veterano del Tour de France, Maurice Brocco, che a 17 anni era entrato nella Legione Straniera francese, Van Lerberghe, vincitore del Giro delle Fiandre il mese precedente, e poi gli astri nascenti del ciclismo belga Anseeuw, Dejonghe e Buysse. Poi, poco prima delle 6, Marcel Allain si rivolse alla folla attraverso un megafono. Tenne un breve discorso sulla gloriosa vittoria dei francesi, sui motivi che avevano spinto il giornale a organizzare la gara e infine invitò tutti a un minuto di silenzio in memoria dei caduti. Alle 6 in punto un colpo di pistola diede il via agli 87 temerari, che si incamminarono lentamente seguiti da dozzine di ciclisti amatoriali. Poi, con le prime luci del giorno la corsa vera e propria prese il via.
Si legge nella rara cronaca di un quotidiano italiano: «La lotta incomincia presto malgrado la pioggia e il vento e talvolta anche la grandine, che sferzano in viso i concorrenti. Al controllo di Bitche (km 72) la zavorra è già in ritardo, diversi si ritirano. Quaranta concorrenti sono ancora in gruppo al secondo controllo di Serreguemipes (km 108) ove riprende Alavoine vittima di forature. La grande battaglia vien data dagli uomini della Bianchi nel tratto collinoso che corre da questa località a Boulay (km 166) dove qualche minuto dopo mezzogiorno transita un gruppo di testa composto da Egg, Buysse, Verstraeten, Vanlerberghe, Vanhevelde, Titran e Germain, seguiti a 6 minuti da un altro gruppetto. […] Dopo Metz colpo di scena. A un incrocio i 4 leader, dei quali manca Egg caduto a causa dell’investimento di un cane, sbagliano strada e percorrono un cammino più lungo di modo che Egg si ritrovi in testa con Pelletier che per una foratura però ben presto rimane staccato e perde contatto. Egg indisturbato entra vittorioso in Lussemburgo alle 16:58. I 5 inseguitori si battono in volata 9 minuti dopo e tagliano il traguardo in quest’ordine: Vanhevelde, Buysse, Mathys, Heusghem, Dejonghe e Verstracten. Seguono altri 68…».
2° Tappa – 30 aprile 1919
Lussemburgo – Bruxelles 301 km
Alle 4 del mattino del 30 aprile in 70 si presentarono al foglio di partenza, anche se 3 concorrenti osservando il tempo decisero di non partire. Mentre percorrevano il pavé per allontanarsi dalla città cominciò a nevicare. Da Houffalize la gara saliva fino a Baraque de Fraiture, a oltre 650 metri sul livello del mare, una lunga salita con tratti all’8% dove gli atleti erano costretti a scendere e spingere la bicicletta. Nel frattempo il fango aveva intasato le ruote e i freni costringendo i corridori a fermarsi per ripulire i propri mezzi.
Passando da Liegi, i segni della guerra divennero più evidenti. Nel 1914 l’esercito tedesco aveva violato la neutralità del Belgio e si aspettava di passare senza alcuna resistenza, ma l’esercito belga – in particolare a Liegi – operò una resistenza sorprendentemente dura. A Liegi, al primo posto di blocco, arrivò in testa Buysse, che firmò con mani tremolanti. Cinque minuti dopo arrivarono sette corridori. Fu poi la volta di Egg, che era ferito in seguito a una brutta caduta e che a causa del manubrio rotto si dovette ritirare. A Bruxelles una folla di 20.000 persone si era radunata per vedere l’arrivo. Alle 17:18 A. Dejonghe tagliò il traguardo con un tempo di 12 ore 18 minuti a una media di 22,2 km/h. Poi 11 minuti dopo giunse Buysse, terzo a 19 minuti Anseeuw. Al nono posto, tra sguardi increduli, giunse Deruyter con indosso una pelliccia da donna! Un altro corridore concluse con una sola scarpa poiché l’altra l’aveva persa nel fango. Poco dopo le 2 del mattino giunse l’isolato Ellner dopo oltre 21 ore di agonia.
3° Tappa – 2 maggio 1919
Bruxelles – Amiens 323 km
La tappa più dura. L’Auto scrisse che da quando esisteva il ciclismo non c’era mai stata una corsa così impegnativa. Neffati, abituato al caldo torrido, ebbe più di un problema in queste condizioni climatiche: «Vorrei essere rimasto a Parigi a correre al caldo della pista», raccontava ai colleghi che annuivano, ma la pubblicità e il prestigio delle gare a tappe erano inestimabili per gli sponsor. Il gruppo lasciò Bruxelles alle 4:30 del mattino con temperature prossime allo zero e sotto una pioggia battente. Attraversando luoghi pregni di proiettili inesplosi, i corridori arrivarono a Lille con 3 ore di ritardo rispetto alla tabella di marcia. A causa delle scarse segnalazioni lungo il percorso alcuni uomini continuarono a cavalcare su strade sbagliate allungando di oltre 60 km. Molti gettarono la spugna recandosi alla prima stazione per prendere un treno che li avrebbe condotti lontano da quei luoghi simili a gironi danteschi. Qualcuno bussò alle baracche lungo il percorso per elemosinare il tepore di una stufa e panni asciutti. Alle 22:58, 18 ore e 28 minuti dopo il via, Deruyter tagliò il traguardo di Amiens. A mezzanotte, ora in cui arrivò il camion con Allain, erano arrivati appena 4 concorrenti! Alle 17 del giorno dopo entrò in città Ellner, sporco, affamato ed esausto. Alle 19, tanto da non figurare nemmeno nelle cronache dei giornali, giunsero infine altri 2 concorrenti dopo un calvario durato 39 ore.
4° Tappa – 4 maggio 1919
Amiens – Parigi 277 km
Al via solo 29 superstiti attraverso le rovine di Amiens, direzione Saint-Quentin. Prima della guerra questa strada era una delle migliori di Francia ma adesso era piena di buche, solchi, fango, butterata da buchi di proiettili e fiancheggiata da alberi morti e resti di cavalli. Quando i tedeschi si ritirarono, ogni edificio era stato raso al suolo, ogni albero da frutto abbattuto, ogni pozzo inquinato, i fiumi arginati per causare inondazioni, gli animali da fattoria rubati e le strade minate. Questa era la famigerata “Zona Rossa”, talmente compromessa che il governo francese aveva deciso di non bonificarla nemmeno.
Al checkpoint di Saint-Quentin, Neffati e Verstraeten abbandonarono la gara. Poco più avanti L.Buysse ruppe la ruota anteriore e fu costretto suo malgrado al ritiro. Al Parco dei Principi di Parigi entrò per primo Deruyter, accolto da 20.000 persone che erano state intrattenute da un pomeriggio di gare su pista. Pochi minuti dopo fu la volta di Duboc. Alle 19 erano 18 i corridori entrati in pista e si dovette attendere l’una di notte per veder arrivare Ellner, che aveva pedalato ben 19 ore! I due giorni di riposo a Parigi furono una manna dal cielo per i “forzati della strada”, che ricevettero cibo e alcool e poi ricevimenti e riposo.
5° Tappa – 7 maggio 1919
Parigi-Bar-le-Duc 333 km
Colpo di scena: al via manca Duboc, secondo in classifica alle spalle di Deruyter! Presto il mistero viene svelato. A quanto pare ha cambiato la bici contro il regolamento e, piuttosto che subire l’imbarazzo della squalifica, ha accettato l’invito dei commissari a ritirarsi. I 22 concorrenti rimasti avrebbero attraversato Marne, Champagne, Argonne e Verdun. Mentre la gara andava avanti successe qualcosa che avrebbe rischiato di far passare in secondo piano l’evento: furono annunciati i termini del Trattato di Versailles. Le Petit Journal era composto da 4 pagine e per la gara lo spazio si ridusse solo a un paio di paragrafi. I corridori, ignari di tutto, solcarono le strade di Reims. Delle 14.000 case solo 68 erano abitate. Si correva con gli occhiali e i fazzoletti legati sopra al naso per proteggersi dalla polvere e per respirare l’etere, che faceva sentire meno la fatica. Alle 18, dopo 16 ore sui pedali, Alavoine arrivò primo al traguardo di Bar-le-Duc, battendo in volata su Heusghem e Desmedt. Ultimo Morel alle 22:30. A due tappe dalla fine era saldamente in testa il belga Deruyter con 1 ora e 15 minuti sull’altro belga Anseeuw e circa 2 ore e mezza su Lerberghe.
6° Tappa – 9 maggio 1919
Bar-le-Duc -Belfort 313 km
Se in questa tappa il tempo fu clemente, lo stesso non si può dire delle difficoltà altimetriche che i concorrenti dovettero affrontare. Per arrivare a Belfort hanno dovuto attraversare i Vosgi con in sequenza Col de Martimprè, Col de Grosse Pierre e il temibile Ballon d’Alsace, 10 km al 7%. Su certe salite, con quelle biciclette, si poteva camminare alla stessa velocità con cui si sarebbe saliti pedalando. A metà Ballon le auto dell’organizzazione (ne erano rimaste solo 3) dovettero tornare indietro a causa della neve alta lungo la strada. I ciclisti, invece, dovettero caricarsi le bici in spalla per trovare in vetta alla salita un altro calvario: la discesa. Con i freni di sughero si poteva sperare di rallentare, non certo di frenare, tanto che non era raro vedere qualcuno legare una fascina di legna alla bici per rallentare ulteriormente la velocità. A Belfort la folla curiosa formò un corridoio attraverso il quale, alle 17:18, passò il primo concorrente: Heusghem. Poi via via tutti gli altri, con qualcuno che giunse oltre la mezzanotte.
7° Tappa – 11 maggio 1919
Belfort – Strasburgo 163 km
Deruyter aveva ormai la vittoria in pugno, solo un guasto meccanico irrimediabile avrebbe compromesso la sua gara ed è per questo che il giorno di riposo lo passò a controllare ogni singolo dado, ogni singola vite, ogni singolo ingranaggio. Gli ultimi 163 chilometri erano praticamente tutti in discesa e furono montati pignoni da 15 denti. Gli organizzatori prepararono una scorta motorizzata per aprire la strada tra la folla fino a Place Tivoli, ora sede del Parlamento Europeo, dove Deruyter superò in volata Kippert. Allain tenne un breve discorso e la folla si disperse prima che gli ultimi giungessero al traguardo, alle 19.15. Quei 21 temerari che conclusero questa fatica cementarono la loro amicizia, poiché avevano condiviso non solamente una gara a tappe ma anche difficoltà fisiche e morali.
La gara, come detto, non ebbe un seguito. Nel settembre del 1920 il circuito fece un’altra apparizione ma come corsa di un giorno. Peccato, sarebbe potuta diventare una gara significativa nel calendario internazionale, un ricordo annuale sull’inutilità della guerra e un giusto omaggio ai milioni di caduti.