Quel 1896 è forse il vertice massimo di un’epoca irripetibile: la Belle Epoque.
Milano è un fervore di novità, il 20 marzo al Circolo fotografico di via Principe Umberto (oggi via Turati) si tiene la prima proiezione cinematografica dei fratelli Lumiere. Nelle librerie è in vendita il romanzo “I pirati della Malesia” di Emilio Salgari, mentre gli strilloni dal 3 aprile iniziano a vendere la Gazzetta dello Sport che in quei giorni avrà molte notizie da dare perché il 6 aprile iniziano ad Atene i primi Giuochi Olimpici dell’era moderna. La casa musicale Ricordi è alle prese con il successo de “La Boheme” di Giacomo Puccini. Nei caffè chantant si sentono per la prima volta le note di “Così parlò Zarathustra” di Richard Strauss. L’industria sta vivendo un periodo di espansione come mai si era verificato in Italia, nascono proprio in quell’anno le fabbriche Maino ad Alessandria e a Torino la Freyus (sì proprio con la “y”).
Sull’onda di questa entusiasmante fiducia nell’avvenire un diciasettenne prende coraggio ed apre la sua modestissima officina al numero 20 di via San Vito, dalle parti di Piazza Vetra. Quel diciasettenne è Umberto Dei nato a Monzano di Jesi, nelle Marche, nel luglio del 1879, da genitori toscani, il papà era era occupato come agente di un’importante azienda agricola. Nel 1882 i coniugi Dei, con i due figlioletti, si trasferirono a Milano. Nella metropoli papà Dei si dedica ad attività commerciali nella speranza di poter moltiplicare i risparmi di una vita. Ma così non sarà. Umberto è un ragazzino dalla fervida intelligenza che primeggia nel calcolo aritmetico e si mette ben in luce nella scuola di via Sant’Orsola.
LA PRIMA OFFICINA
Purtroppo il padre non trova nella metropoli quella fortuna che cercava. In pochi anni il patrimonio di famiglia si dissolve obbligando Umberto ad abbandonare gli studi per andare a lavorare nelle officine meccaniche della zona. Ma quel ragazzino riceve dal padre una promessa: «Appena avrai imparato il lavoro di meccanico ti aprirò un’officinetta».
Umberto non si perde d’animo, la sua capacità di calcolo lo aiuterà nell’apprendimento della meccanica e presto le soddisfazioni non mancheranno. Così ne 1896, quando la famiglia sembra risollevare la testa, finalmente si realizza la promessa paterna e, unendo una stanza dell’abitazione con uno spazio contiguo, si realizzano il sogno e la promessa dell’officinetta. Per un diciassettenne è naturale rivolgere la sua attenzione al ciclismo, lo sport emergente in quegli anni. Eccolo quindi iniziare l’attività di riparazione cui ben presto, su invito dei clienti – giovanissimi pure loro – inizia l’attività agonistica con buoni risultati.
Il suo impegno è totale e con fatica, ma anche successo, riesce a conciliare le due attività di meccanico e corridore che per Umberto sono complementari, tant’è che il grande Giuseppe Vigorelli così lo descrive: «lo ricordo ancora arrivare nel quartiere dei corridori (al Ciclodromo Milanese – ndr) tutto frettoloso con la giubba da lavoro, da cui sotto spuntava la maglia bianco nera del corridore».
Lo sport è il mezzo principale per farsi conoscere. Dei non dispone di capitali per poter avviare una produzione in serie, perciò deve per forza costruire su ordinazione in modo da potersi finanziare con gli acconti. Ovviamente per poter aumentare gli affari bisogna allargare la schiera dei potenziali clienti e l’occasione propizia si presenta nel 1897, quando si libera un magazzinetto nei pressi dell’officina. Questo sarà il posto ideale per la sede sociale della Polisportiva, l’associazione per la pratica del ciclismo, del nuoto, del podismo. Insomma tutto è preordinato ad allargare la schiera delle conoscenze per poter contattare il maggior numero di persone… chissà che poi non serva loro qualche bicicletta!
L’attività sportiva sia come corridore che come rappresentante della Polisportiva è subito molto intensa. Dei diviene ben presto una delle speranze del ciclismo lombardo tant’è che l’avv. Piero Roz soprannominato “Tenax” (in quegli anni pistard professionista) così lo ricorda: «Dei era novizio, campione sarebbe diventato anni dopo, ma già si vedeva in lui il forte corridore».
Al ciclodromo Milanese Umberto diviene presto il beniamino di quel pubblico che, disponendo di pochi mezzi, può permettersi di pagare solo 50 cent. per il biglietto in “Africa”, come viene scherzosamente definita quella parte della pista senza tribune e senz’alberi con la ghiaia che si surriscalda sotto il sole. Quello però è il pubblico dei tifosi veraci, che sopporta le temperature africane pur di veder correre i propri idoli e Dei piano piano diventerà uno di loro. Quell’anno sembra andare particolarmente bene e nonostante sia solo un pistard dilettante, Dei si trova già ad affrontare la sua prima trasferta internazionale. Il giornale parigino l’Auto-velo, volendo incentivare l’interesse per il neonato impianto del Parc du Price al Bois de Vinçennes – per intenderci la stessa pista su cui, un paio di anni dopo, si affermerà Gianfernando Tommaselli – lancia una sfida per delle gare su pista tra la Francia e l’Italia. Secondo la versione ufficiale i professionisti francesi, interpellati per primi, declinano la sfida perché impegnati su altre gare ma gli italiani interpretano tale diniego come segno di debolezza sportiva. Si ripiega allora sui dilettanti, dove la Francia si sente particolarmente forte. In Italia la sfida viene accolta dal Club Ciclistico di Milano, presidente l’avv. Enrico Luzzato, il quale sa di avere a disposizione dei fortissimi atleti come Virginio Minozzi, campione italiano dilettanti, e Giovanni Della Ferrera.
Per scegliere gli altri corridori viene organizzata una giornata di selezione al Trotter di Milano con l’appoggio della Gazzetta dello Sport che sarà uno dei finanziatori della costosa trasferta. Umberto Dei si aggiudica la gara a eliminazione, il quarto uomo della trasferta sarà Ramella mentre ad Aghemo spetterà il ruolo di riserva. Giunti a Parigi gli italiani sembrano soffrire un po’ di un complesso di inferiorità anche perché i francesi fanno di tutto per esaltare, soprattutto sulla stampa, le doti dei corridori nazionali. Ma la gara riserverà ai padroni di casa qualche amara sorpresa, nonostante tutti i tentativi degli organizzatori di avvantaggiare i corridori di casa.
«La corsa si doveva svolgere in batteria, – dirà De lla Ferrera- le coppie erano state così fissate: Dei – Della Ferrara e Minozzi – Ramella. Ma i francesi, che dovevano vincere ad ogni costo, vollero separare Minozzi e Ramella, pel timore che loro incuteva Minozzi, campione italiano. La mossa non fu loro favorevole, dietro Minozzi, che si piazzò trionfalmente primo, ecco classificarsi inaspettatamente secondo la rivelazione Dei ed i francesi confinati al terzo e quarto posto». Per la cronaca anche la seconda batteria non fu favorevole ai francesi perché fu vinta proprio da Della Ferrera. Umberto Dei corre con una bicicletta auto-costruita particolarmente leggera, senza le congiunzioni, per cui il suo piazzamento d’onore diviene il miglior mezzo pubblicitario per le sua officina e si affermerà così come costruttore di biciclette da corsa su misura.
FINALMENTE PROFESSIONISTA
Dopo i successi da dilettante finalmente, nell’anno 1900, arriva il momento di passare professionista, attività che non porta solo gloria sportiva ma anche consistenti ingaggi, che non sono più i miseri rimborsi spese dei dilettanti. Inoltre, i premi sono in denaro e non più in generi alimentari o medaglie di latta. La solidità economica è ancora lungi dall’essere raggiunta, anzi sembra allontanarsi sempre più allorquando, proprio in quell’anno, muore papà Dei. Molti erano i debiti che gravavano sul capo famiglia, in parte dovuti all’apertura dell’officinetta. Ma sono le difficoltà della vita quelle che temperano, e Umberto di temperamento, determinazione e orgoglio ne ha da vendere quando dice a tutti i creditori: «non temano d’aver perduto nulla, con la scomparsa del mio povero babbo: a poco a paco pagherò io». E negli anni successivi onorerà tutti i debiti affinché «del padre restassero immacolati il nome e il ricordo». Nel 1901 è presente sulle piste internazionali dove corre sia come singolo che in tandem con Singrossi gareggiando ed a volte battendo le migliori coppie dell’epoca: Pasini – Tommaselli e Bixio – Ferrari. In coppia con Ruggerone arriverà secondo al Gran Premio di Parigi dietro la coppia tedesca Ellegard – Arend.
Adesso che è professionista le occasioni per guadagnare si presentano sempre più frequenti e nella primavera del 1902, grazie ai fratelli Elia, Eugenio ed Enea Scala, pittori e scultori a Kiev, c’è la possibilità di andare a gareggiare sulle piste russe famose per i lauti ingaggi ed i ricchi premi. Numa Cisotti, corridore professionista che molto gareggiò in Germania e Russia, così scrisse di quell’avventura nella terra degli Zar: «Partiti da Milano, ci recammo direttamente a Kieff, indirizzandoci ai suddetti fratelli Sala, che ci ospitarono come fossimo stati di famiglia, assistendoci con affetto indimenticabile. […] Sarebbe stato nostro desiderio iniziare subito delle manifestazioni, anche per rispondere al desiderio dei giornali locali; ma purtroppo la pista era in tali trascurate condizioni da dover richiedere tutta l’energia dell’amico Umberto, sempre infaticabile, per poterla riassestare e per renderla praticabile e regolare. E qui l’amico chiede un saggio inatteso della sua non comune abilità a risolvere anche i problemi più ardui, improvvisandosi calcolatore d’inclinazioni per la sopraelevazione delle curve, e per l’entrata e la sortita dalle medesime; cosa non facile neanche per tecnici consumati.
Finite le diverse riunioni di corse a Kieff, ci recammo a Odessa, dove Umberto ebbe la soddisfazione di battere ripetutamente in una Corsa prima ed in un match dopo, il campione russo Outockine, sempre temibilissimo, tanto più sulla propria pista. Gli Italiani presenti ed in special modo i marinai, portarono Dei in trionfo e gli fecero dei regali. Da Odessa si passò a Rostow, e di qui a Karkof ed a Varsavia e in diverse altre città meno importanti, ovunque mietendo allori e riscotendo applausi… più che denaro, perché allora si correva molto e si guadagnava poco. Ma che importava il danaro?! A noi bastavano l’applauso e la soddisfazione di vincere».
Intanto a Milano l’impresa artigianale prosegue con l’impegno del fratello Augusto e proprio in quel 1902, grazie anche ai guadagni in Russia si riesce ad ampliare l’attività con l’apertura di due sedi secondarie nella vicina piazza Vetra e in via Gozzadini, poco distante dal trotter. Nel 1905 arriva il colpo di fulmine e di volata si sposa il 27 aprile con Ofelia, di origini livornesi ma anche lei milanese di adozione. Col passare degli anni l’attività agonistica va sempre più diradandosi infatti il corridore Romolo Buni così lo ricorda: «La tenace volontà e la fine intelligenza dell’amico Dei lo avrebbero certamente condotto alla conquista di ancor migliori allori nello sport ciclistico, se le cure della famiglia e della sua piccola officina di biciclette non avessero assorbito gran parte del suo tempo».
Anche Umberto Ferrari apprezzerà sempre molto le doti velocistiche di Umberto: «Dei fu temibile anche per i migliori campioni, per la potenza del suo scatto e per la facilità di guida, che gli permetteva di prendere la testa al tempo opportuno ed anche per il suo spunto finale velocissimo, molto avrebbe potuto ancora esprimere sulle piste se gli impegni commerciali non lo avessero chiamato».
LA REALTà PRODUTTIVA
L’attività industriale infatti diviene sempre più pregnante e in via Cesare Correnti aprirà una concessionaria per la vendita di cicli e motocicli Peugeot, questi ultimi divennero poi il suo mezzo di locomozione veloce. Con il cessare dell’attività agonistica c’è un solo modo per poter restare nel mondo delle corse: quello di darsi da fare nei club ciclistici, attività che Dei saprà gestire molto bene e che sarà per lui il mezzo per poter proporre le sue ottime biciclette, tant’è che il corridore Umberto Ferrari è tra i suoi clienti. «Durante la mia carriera sportiva – dice Ferrari – l’amico Dei fu negli anni il mio fornitore di biciclette e ricordo la sua passione e la sua intelligenza per farmi il telaio che rispondesse alla mia struttura fisica e alla mia pedalata; e ricordo come il povero Pietro [Bixio – ndr] esigentissimo nella bicicletta, si dichiarasse entusiasta di quelle che Dei gli faceva, per quanto le biciclette dovessimo pagargliele, mentre avremmo potuto averle gratis da altri costruttori».
L’attività associativa mantiene Umberto Dei nel settore delle corse dove egli svolge un po’ tutte le mansioni: «fu il mio migliore consigliere nella vita come nello sport – dice Enrico Brusoni, campione italiano dilettanti e vincitore di molte gran fondo – ed alcune mie vittorie le devo alla sua amorevole assistenza. Devo a lui l’aver vinto nel 1904 la corsa dei 600 km, poiché a pochi chilometri dall’arrivo mi sarei ritirato, se il suo aiuto e persistente incoraggiamento non mi avessero spronato a finire la corsa. Così pure nel mio primo record dell’ora al trotter, ove ebbi come allenatore il Cav. Bugatti, ora celebre costruttore di automobili, fu Dei che mi assistè con intelligenza”.
Nel 1908 l’attività deve fare l’importante passo verso l’industrializzazione, eccolo quindi costituire una società in accomandita con l’apporto dei capitali di Fabbre e Bozzi. Sì proprio l’Emilio Bozzi che già all’epoca era titolare di una fabbrica di componenti ciclistici. Il capitale fresco che entra in azienda gli permette di concentrare le varie attività nel più strutturato e idoneo immobile di via Pasquale Paoli, nelle immediate vicinanze del Naviglio Grande poco lontano dalla Darsena, dove inizia la sua produzione in serie delle biciclette.
Finalmente l’attività industriale prende avvio e piano piano si afferma come marca di qualità dall’eleganza particolarmente raffinata. La produzione ante Prima Guerra Mondiale è completa: bici da uomo, donna, bambino, bici da lavoro e tricicli furgoncino Certamente il top in catalogo è il modello A1 bicicletta da uomo a leve rovesce sulla quale viene offerto il carter a bagno d’olio e il perno sfilabile. A catalogo non mancano nemmeno le bici da corsa con speciali forcellini per velocizzare lo smontaggio della ruota, ma la regina, anche come bellezza, resta il modello B2 speciale da Pista.
Nel 1915 la società si scioglie perché Dei non vuole cedere alle richieste di Emilio Bozzi di aumentare la propria partecipazione, operazione nella quale Umberto vede, ed a ragion veduta, un pericolo per il proprio futuro in azienda. L’attività continuerà come società di fatto alla quale partecipano dapprima solo i fratelli Dei e poi dal 1918 due operai della prima ora ritornati dalla guerra: Donarini e Castiglioni. Gli anni del primo dopoguerra sono difficili, l’Italia è scossa dagli scioperi delle leghe rosse, il Partito Socialista si scinde e nasce il Partito Comunista che vuole imporre la rivoluzione di tipo bolscevico e dall’altra parte i liberali e la destra si affidano ai Fasci di Combattimento per rimettere ordine, tutti sappiamo poi come andò a finire. Però, in mezzo al caos, imperante la Umberto Dei, fabbrica di biciclette, ha la fortuna di avere gli operai dalla sua parte, frutto anche di una politica gestionale illuminata, al punto che nel 1920 pochissime furono le giornate di sciopero e molte le lettere di devozione degli “operari”
IL SUCCESSO COMMERCIALE.
La produzione si distinse da subito per l’eccellente qualità e finitura delle biciclette da viaggio anche se la fabbrica non smise mai la produzione delle biciclette da corsa dove eccelleva in particolar modo proprio nelle bici da pista. Dei è molto attento al marketing e nel catalogo del 1923 ha l’idea di utilizzare i personaggi dello sport come testimonial dei propri prodotti, ecco così che il catalogo si apre con il pilota automobilistico Felice Nazzaro che inforca un modello A1.
Sarà questa la sua prima invasione del campo automobilistico la successiva si verificherà agli inizi degli Anni ’30 per ricordare l’amico pilota Pietro Bordino, scomparso tragicamente nel 1928 sul circuito di Alessandria, quando gli dedicherà un omonimo modello di bici di grandissimo pregio con telaio da corsa e allestimento turistico. Verso la metà degli Anni ’20 l’azione commerciale lo porta a realizzare un elegantissimo volume con la copertina in cuoio impressa a fuoco con cui illustra la storia della bicicletta. Nel 1929 all’ACMA, la fiera del ciclo che si teneva a Milano, ha l’idea di appendere le sue bici a dei fili quasi invisibili per esaltare la qualità della leggerezza, inutile dire che le foto di queste bici fecero il giro del mondo.
L’innovazione più conosciuta applicata sulle bici Dei è senza dubbio la frenata integrale che permetteva, con l’azionamento di una sola leva, di frenare su entrambe le ruote. Il primo modello a ricevere questa innovazione sarà il Marca Oro, poi dal 1937 l’Imperiale. Alla metà degli Anni ’30 realizza un kit di trasformazione per realizzare la cosiddetta “bici sociabile” cioè il tandem parallelo, che può accogliere indifferentemente due uomini, due donne o una coppia. Sempre degli Anni ’30 è la prima messa a catalogo della Superleggera, capostipite di bicicletta che, con diverse serie, mantenne il mercato per oltre trent’anni.
La sua attività nell’ambito delle associazioni lo porterà ad assumere nel 1923 la presidenza della Unione Veterani Ciclisti Italiani, carica che manterrà sino alla morte. Questo club conta soci prestigiosi non solo in campo ciclistico, nell’elenco degli iscritti troviamo il Conte Turati, Giorgio Davidson, Federico Johnson e addirittura Giovanni Agnelli presidente della Fiat.
Proprio per celebrare il suo terzo mandato come presidenteviene realizzato un volumetto curato da Luigi Masetti il quale esordisce nella prefazione dicendo: «È cosa facile parlar bene di Umberto Dei, basta dire la verità». Umberto morirà nel 1960 ma la fabbrica non era più sua, essendo già passata di mano diverse volte per finire poi assorbita dal gruppo di Cesare Rizzato che era anche titolare del marchio Atala.
Una storia affasciante d’altri tempi che ha regalato a noi appassionati biciclette eccelse le quali ancora oggi ci fanno ricordare che: «il corridore distinto, il poeta della pista si fusero al meccanico perfetto e crearono una delle marche più estetiche ed eleganti che vanti l’Italia». (Eugenio Emilio Costamagna – Gazzetta dello sport del 22 marzo 1911).