Gino Bartali vince il Tour de France del 1938 e ha 24 anni, sulla schiena porta il numero 13.
Dopo 10 anni Gino ritorna glorioso sotto l’arco di trionfo, e per difenderlo dall’affetto dei tifosi ci vogliono i cordoni della polizia. Gino ha vinto tanto in questo decennio, tantissimo, la guerra però lo ha bloccato nei suoi anni di maggior vigore (anche se, per dirla tutta, durante il Secondo Conflitto Mondiale si è rivelato in tutta la sua grandezza come “giusto tra i giusti”, ma questa è un’altra storia).
Se al Tour del 1938 portava il dorsale numero 13, dieci anni dopo i numeri si sono invertiti e Bartali corre con il 31: coincidenza o presagio? Sara la strada a rivelarlo e forse anche uno strano susseguirsi di eventi che rimarranno poi impressi nella storia.
UNA GRANDE SFIDA
Nel 1948 Bartali non ha più 24 anni ma 34, nessuno ha mai vinto un Tour a quell’età. La stampa dice che è troppo vecchio, ma in quel Tour Magni e Coppi non ci sono. Il primo rimane a casa per sua scelta: aveva vinto l’ultimo Giro d’Italia e francamente sa di non essere molto simpatico ai transalpini. Coppi, invece, deve scontare una squalifica poiché ha abbandonato il Giro per protesta a causa di certe spinte a Magni sul Pordoi. A quei tempi – e durerà fino al 1961 – al Tour de France non si corre con la squadra di club bensì con la Nazionale. Bartali, che quindi ha le carte in regola per essere l’uomo di punta, chiederà di essere accompagnato in Francia da Girardengo, che gli fu vicino nel trionfo di 10 anni prima. Costante, però, pensa che per Ginettaccio non ci possa essere nemmeno una remota speranza di vittoria, e inventa così la scusa di essere troppo vecchio per guidare la Nazionale, anche se in realtà nel 1948 aveva solo cinquantacinque anni.
Gino allora bussa alla porta di Alfredo Binda, l’altra icona del ciclismo di quel tempo, e gli chiede di salire in ammiraglia con il ruolo di direttore tecnico. Il grande Alfredo accetta di guidare la nazionale italiana con una clausola: lui avrebbe deciso la tattica, mentre Bartali avrebbe potuto scegliersi i compagni d’avventura in terra di Francia. Affare fatto. La squadra che andò al Tour del ’48 è composta da Gino Bartali, Antonio Bevilacqua, Serafino Biagioni, Giovanni Corrieri, Giordano Cottur, Guido De Santi, Egidio Ferruglio, Bruno Pasquini, Vincenzo Rossello e Primo Volpi. Inoltre, l’Italia schiera anche una seconda squadra, i Cadetti Italiani, diretta da Palmiro Mori e capitanata da Vittorio Seghezzi.
Già dalla prima tappa che andava da Parigi a Trouville sur Mer, di 237 chilometri, i francesi provocano il nostro campione ricordandogli la sua anagrafe ma lui, da buon toscano purosangue e da impulsivo com’era, reagisce prontamente vincendo subito in volata, dopo aver lottato per cucire una fuga che aveva raggiunto i cinque minuti di vantaggio. Nonostante una foratura, Bartali taglia per primo il traguardo di quella frazione e segna la media oraria più alta in una tappa al Tour fino ad allora. In quello sprint Gino ha la meglio sul belga Shotte, che vincerà poi di lì a poco il Campionato del Mondo di Valkemburg, dove Coppi e Bartali si fecero la guerra.
Come partenza è ottima, ma Binda s’infuria perché secondo gli accordi Gino, che adesso è in Maglia Gialla, avrebbe dovuto nascondersi sino ai Pirenei: alla fine, contrariamente agli accordi, il campione toscano aveva deciso di fare di testa propria sin dal primo giorno. Ne nasce una scenata che Gino comprende e, a capo chino, l’indomani lascia volutamente il simbolo del primato sulle spalle del belga Jan Engels.
TUTTI CONTRO GINO
Il favorito numero uno per quel Tour è Jean Robic, detto “testa di vetro” perché è l’unico a correre con il casco (dettaglio: si era fratturato il cranio nella Parigi – Roubaix del ’44). L’anno prima, nel ’47, aveva vinto il Tour al primo tentativo. Favorito numero due è un giovane bretone che promette molto bene, un ragazzo che vincerà molto nella sua carriera e risponde al nome di Louison Bobet.
Bartali il 7 Luglio rivince a Lourdes e lo fa di prepotenza. Un trionfo cercato, voluto e sofferto. Lui è molto devoto alla Madonna, e questa volta può dedicare la vittoria alla Beata Vergine con tutto l’entusiasmo e in piena libertà, dato che dieci anni prima Benito Mussolini s’arrabbiò molto per il fatto che Bartali non avesse dedicato la vittoria al Regime. Il Duce avrebbe voluto fargliela pagare ma nulla poté: Bartali era troppo amato dal popolo e poi non poteva punire uno che dedicava la vittoria alla Madonna, dato che la propaganda fascista di cui egli stesso era autore aveva creato il famoso slogan “Dio, patria, famiglia”.
Non pago, Bartali vince anche il giorno dopo, martedì 8 giugno a Tolosa. Il vecchio leone comincia a fare paura e il plotone capisce che dall’alto dei suoi 34 anni è ancora molto forte – forse troppo – cosicché i francesi e belgi fanno alleanza per sostenere Bobet: il giovane transalpino si dimostra più forte del previsto in montagna e difatti, sui Pirenei, prende il volo. Ogni giorno che passa il distacco si fa sempre più pesante e l’alleanza franco belga si fa sempre più forte. Bartali viene attaccato a ripetizione finendo alle corde.
Il 13 luglio, a metà Tour, il ritardo si fa pesantissimo: 21 minuti. Per Bartali è praticamente finita. L’indomani molti giornalisti tornano in Italia, tanto per i nostri corridori non sembrano più esserci speranze di successo («Ha 34 anni, è troppo vecchio per il Tour» scrivono di Gino Bartali i nostri quotidiani). E poi in quel 14 luglio, festa nazionale francese e giorno di riposo del Tour, in Italia è accaduto qualcosa di molto grave, cosa che richiama in patria tutti i cronisti.
L’ATTENTATO A TOGLIATTI
In realtà la situazione è drammatica da tempo: il 18 marzo si erano tenute le prime elezioni politiche della storia repubblicana e l’Italia era divisa in due. La disputa era fortemente influenzata dalle due superpotenze mondiali, USA e URSS, e durante la campagna elettorale si vedono manifesti di propaganda quanto mai sconvolgenti per sostenere la strategia della paura. Da una parte la sinistra di Pietro Nenni e Palmiro Togliatti accusa gli avversari di essere schiavi del Vaticano e degli Stati Uniti, dall’altra la coalizione di centro guidata da Alcide De Gasperi e Giulio Andreotti tenta di convincere gli italiani che non è tanto una scelta legata all’ideologia politica, quanto invece tra Cristo e l’Anticristo. A tal proposito scende in campo pure la Chiesa, con Papa Pio XII, e i toni si fanno apocalittici, con tanto di minacce di scomunica. La tensione, in quel periodo di avvicinamento al voto, è alle stelle.
Il risultato elettorale segnerà una vittoria schiacciante della DC, che ottiene il 48,5% dei voti e Alcide De Gasperi diventa capo del governo. Tuttavia, in tutto il territorio nazionale permangono forti inquietudini e malumori generali fino a che alle ore 11.30 del 14 luglio, Antonio Pallante, un ragazzotto siciliano legato all’estrema destra, aspetta Togliatti in piazza Montecitorio e gli spara quattro colpi di pistola: uno alla schiena, uno alla nuca e uno al braccio. Il quarto colpo va a vuoto e fora un cartellone. Togliatti è gravissimo. Nilde Iotti, che era con lui, lancia l’allarme e parte una lunga corsa in ospedale. La pistola era Smith & Wesson calibro 38 del 1899, comprata al mercato nero per millecinquecento lire.
In tutta Italia scoppiano tumulti: i focolai di rivolta sono numerosissimi, i sindacati proclamano lo sciopero generale e il ministro dell’interno Mario Scelba ordina alla polizia di reprimere le manifestazioni non autorizzate. Sul campo restano ben 30 morti e oltre 600 feriti. L’Italia è sull’orlo della guerra civile sebbene i dirigenti delle due fazioni politiche invitino il paese alla calma e decidano di non cavalcare l’onda della protesta. Ma non basta.
La soluzione è in un albergo di Cannes, dove Gino Bartali sta trascorrendo il giorno di riposo del Tour insieme al fido compagni di camera Giovanni Corrieri. In quell’albergo in riva al mare Bartali sta fumando una sigaretta e sta parlando con Corrieri della tappa dell’indomani, quando arriva una cameriera di corsa che annuncia una telefonata per il campione toscano.
– «Pronto?»
– «Pronto, Gino, ciao, sono Alcide De Gasperi, ci davamo del tu una volta…»
Bartali sapeva dell’attentato a Togliatti. Per fortuna le pallottole sono di tipo scadente e a bassa penetrazione: non saranno mortali ma questo lo si saprà dopo. Intanto i giornali usciti in edizione straordinaria titolano «Togliatti colpito a morte in Piazza Montecitorio».
De Gasperi viene subito al punto.
– «Gino, puoi vincere il Tour?»
– «Eccellenza, il Tour non lo so, ma la tappa di domani la vinco.»
L’IMPRESA IMPOSSIBILE
Quando ci si trova a un passo dalla sconfitta, nello sport, nella testa passano tanti pensieri. Ma è quasi sempre proprio dalla testa che parte un impulso, una scossa, una ribellione alla sconfitta ed è in quel momento che può nascere la più bella impresa che un atleta possa compiere: la rimonta. Si, perché la rimonta è un piccolo miracolo che da speranza a tutti, soprattutto in uno sport come il ciclismo dove ogni metro costa sofferenza e sudore, in cui ogni avversario è pronto a tutto per conservare anche pochi secondi di vantaggio.
Ed ecco allora che Bartali si presenta alla ripartenza del Tour, il 15 luglio, con una motivazione rinnovata. Tappa Cannes – Briancon, 274 chilometri. Col Allos e Col de Vars. Jean Robic attacca senza tregua con Bartali incollato a ruota ma, appena comincia la salita dell’Izoard, Gino saluta tutti sui 17 chilometri al 7%. Testa di Vetro non riesce a tenere il passo del toscano e Louison Bobet va alla deriva dopo pochi tornanti. Il francese alla fine della tappa rimane Maglia Gialla ma non più con 22 minuti, bensì con soli 56 miseri secondi. L’impresa eroica di Bartali emoziona il popolo italiano, tenendolo per ore con le orecchie attaccate alle radio per esaltarsi nell’ascoltare le gesta del grande campione, sul punto di ribaltare una classifica che sino al giorno prima lo dava per spacciato.
L’indomani, il 16 luglio è in programma un altro “tappone” di 263 km da Briançon ad Aix-les-Bains, attraverso il Galibier, la Croix de Fer, il Grand Coucheron ed il Granier. Bartali è incontenibile e nessuno riesce a tenere la sua ruota. Contro ogni pronostico, Gino Bartali balza nettamente in testa alla classifica.
L’Italia è in estasi e completamente rapita dai successi del campione toscano. Lo stesso Togliatti dall’ospedale, ormai risvegliatosi dal coma e fuori pericolo, si compiace per quanto accaduto, e questi trionfi sportivi, unitamente ai ripetuti inviti alla calma da parte dei leader politici, creano una particolare atmosfera che permette al paese di uscire gradualmente da una situazione drammatica. Niente rivoluzione, niente guerra civile. Si fermano anche i ferocissimi scontri di piazza, riportando tutto passo dopo passo alla normalità.
Gino vince il Tour de France rifilando 26’16” a Alberic Schotte e 28’48” al francese Guy Laperbie. Oltre mezz’ora al favorito Bobet. Bartali arriva a Parigi vestito di giallo e conquista anche la classifica di miglior scalatore. I giornali, dapprima spietatamente critici nei confronti del toscano, ora lo esaltano per la sua impresa. Nel frattempo la situazione in Italia si è definitivamente placata. Qualcuno ci ha visto il tocco di Dio, quasi come se un soffio divino avesse miracolosamente galvanizzato Ginettaccio che, in sella alla sua Legnano, oltre ad essere riuscito a compiere un’impresa leggendaria, ha contribuito concretamente a rasserenare una situazione sociale e politica davvero inquietante. L’Italia a un passo dall’abisso e Bartali che la salva vincendo il Tour de France. Senza ombra di dubbio, nell’immaginario collettivo dell’epoca, quella vittoria ha rappresentato una via d’uscita, la salvezza per un popolo ormai vicino al baratro.