Il Giro del 1963 è un giro quasi tutto italiano, perché al via ci sono solamente 16 stranieri su 120 partenti. Dieci saranno gli italiani ai primi dieci posti della classifica finale, e per gli esteri solo Jaume Alomar Florit (Spagna) vincerà una tappa, la terza (Bari – Campobasso). Sono talmente tanti gli italiani, che si vedranno al via ben due maglie Tricolori.
È Napoli, città che ha nel cuore Learco Guerra, a ospitare la partenza di quell’edizione, il 16 di maggio. Prima del via compare nel gruppo in attesa Bruno Mealli in maglia Tricolore, ma ecco che poco dopo, sotto lo striscione, Marino Fontana si toglie la tuta della San Pellegrino e mette in mostra anch’esso la maglia di campione d’Italia! Ma cosa succede? Succede che Mealli è riconosciuto campione italiano dalla U.V.I. ma, come nel Medioevo, c’è un antipapa – Fontana – riconosciuto invece dalla Lega Professionisti, che cercava l’indipendenza dall’ente ufficiale. Esistono dunque contemporaneamente due campioni italiani.
Il pasticcio che precede il disastro successivo alla prima tappa del Giro trova la sua spiegazione un mese prima. Il 21 aprile, nel Gran Premio Industria e Commercio di Prato, Fontana, dopo una foratura, riceve la ruota dal compagno di squadra Neri, fatto legittimo secondo la Lega ma da squalifica secondo l’U.V.I.. Stando così le cose, al termine della prima tappa del Giro (quella appunto partita da Napoli e vinta da Adorni) la giuria squalifica Fontana e l’U.V.I. conferma. Prima dello start della seconda tappa, da Potenza a Bari, scoppia il finimondo “politico – sportivo”: Adriano Rodoni, presidente dell’U.V.I., osteggia Torriani, organizzatore del Giro, e la Lega squalificando appunto Fontana. Non accettando alcuno stratagemma dell’organizzazione e delle squadre per salvare il Giro, l’U.V.I. arriva al punto di ritirare i giudici, costringendo di fatto i pochi stranieri (la GBC di Van Looy) a uscire di scena al fine di non ritrovarsi squalificati dalle rispettive Federazioni (in quanto legate per statuto all’Organizzazione Mondiale di cui anche il Belgio fa parte). Una situazione a dir poco imbarazzante. Lungo le strade si leggono cartelli che recitano: “Torriani salviamo il Giro perché U.V.I. e Rodoni sono tutti buffoni!”.
COLPI DI SCENA
All’alba del 24 maggio, al Foro Italico, c’è l’armistizio: il Giro prosegue sotto l’egida del CONI. L’U.V.I. è invitata a ripristinare giuria e ispettori, Mealli veste il Tricolore e Fontana prosegue sub iudice. E dire che proprio nel Giro dell’anno prima, il detentore della maglia Tricolore Nino Defilippis nella diciassettesima tappa, la Lecco – Casale Monferrato, partì senza indossare la vistosa maglia. All’epoca non esistevano le radioline e il corridore piemontese, che lottava per la maglia rosa, studiò questo stratagemma per nascondersi meglio in gruppo ed entrare nelle fughe. Purtroppo per lui nessuno cascò nel tranello e a fine gara dovette pagare pure una multa.
Ma torniamo al Giro del ’63, dove i colpi di scena continuano. Il 26 maggio la San Pellegrino di Fontana si scioglie e di fatto abbandona il mondo delle corse dopo essere entrata tra i professionisti nel 1960. Allora era guidata da Bartali con a stipendio la promessa Venturelli. L’idea era che la squadra avrebbe dovuto avere come capitano Coppi, cosa che purtroppo non fu possibile a causa della sua improvvisa scomparsa. I corridori proseguono però il Giro vestiti di una maglia nera con scritto solamente “Sport”. Il team si chiama “Squadra 11”, essendo la San Pellegrino l’undicesima iscritta al Giro su 12 partecipanti. Furono definiti “I Corsari” di quel Giro e il loro Barbanera fu Giorgio Zancanaro, vincitore di una tappa e addirittura terzo sul podio finale. E così come i corsari furono dei pirati legalizzati, allo stesso modo gli ex-San Pellegrino furono autorizzati a concludere quel Giro d’Italia.
Fu un’edizione che passò alla storia, quella del ’63, per tutta una serie di eventi, come il clamoroso successo de “Il processo alla tappa”, ideato da Sergio Zavoli l’anno prima. Fu il secondo Giro consecutivo vinto dal regolarista calcolatore Franco Balmamion, che si impose, come l’anno prima, pur non vincendo mai una tappa. Fu un Giro dove Vito Taccone riportò il ciclismo ai tempi di Binda con 5 successi parziali di cui 4 consecutivi. Ma fu appunto il Giro delle “Maglie Misteriose”, da quelle Tricolori a quelle nere.