«Mia terra, mia labile strada, / sei tu che trascorri o son io? / Che importa? Ch’io venga o tu vada, / non è che un addio! // Ma bello è quest’impeto d’ala, / ma grata è l’ebbrezza del giorno. / Pur dolce è il riposo… Già cala / la notte: io ritorno. // La piccola lampada brilla / per mezzo all’oscura città. / Più lenta la piccola squilla / dà un palpito, e va… / dlin… dlin…»
Ci sono terre che hanno spiccate vocazioni. Le Langhe, ad esempio, ci regalano grandi rossi (Barolo, Barbaresco, Nebbiolo) e grandi scrittori di racconti (Fenoglio, Pavese, Arpino). La Romagna è terra di poesie e di biciclette, due mondi che a volte s’incrociano. I versi che avete letto sono di Giovanni Pascoli, un grande romagnolo anche se trapiantato in Garfagnana, e sono tratti dalla poesia La bicicletta, pubblicata nella raccolta I canti di Castelvecchio, del 1903.
Erano gli anni pionieri della bicicletta e del ciclismo (il primo Tour de France è proprio di quell’anno). Ma in Romagna la passione del velocipede aveva già attecchito. Il faentino Alfredo Oriani, può essere considerato a buon diritto il primo scrittore-ciclista italiano: nella raccolta La bicicletta del 1902 si leggono i reportage dei suoi viaggi in bici, tra Romagna e Toscana, con un gusto originale per raccontare il paesaggio attraversato a colpi di pedale. Di quattro anni più tardi, del 1907, è La lanterna di Diogene, di Alfredo Panzini, altro letterato romagnolo, che in quelle pagine racconta del suo viaggio in bicicletta da Milano a Rimini.
Diciamo dunque che quella terra “solatia, dolce paese, / cui regnarono Guidi e Malatesta” (è sempre Pascoli, in una delle sue poesie più famose, che non a caso s’intitola Romagna) fin dai primi anni del Novecento di furono le condizioni per coltivare una passione a pedali che dalle pagine dei racconti e dai versi delle poesie contagiasse anche la strada e le corse in bicicletta, tra Riviera adriatica e le aspre salite appeniniche che dalla Romagna puntano alla Toscana e al Montefeltro marchigiano. Marco Pantani, il Pirata di Cesenatico, ha alle spalle una lunga tradizione di campioni ciclisti. Passiamoli in rassegna.
Negli anni Venti correva Michele Gordini (1896-1970), detto Bucàza, boccaccia. Era di Budrio di Cotignola, come il condottiero e capitano di ventura Muzio Attendolo Sforza, padre di Francesco che divenne poi duca di Milano. Neanche a Bucàza mancava forza e coraggio: durante il Tour del 1927, che correva da isolato, tentò l’impresa andando in fuga subito dopo la partenza della prima tappa pirenaica, la Bayonne-Luchon, di 326 km, fino ad arrivare ad avere un vantaggio di 50 minuti sugli inseguitori: poi crollò e venne raggiunto da Nicolas Frantz che vinse tappa e Tour. Corse per tre volte il Tour e per otto il Giro, con Bianchi, Ganna, Atala e Automoto.
Cesenate, di Martorano, era Mario Vicini (1913-1995), che corse da professionista per Gloria, Ganna, Lygie, Bianchi e Viscontea, a cavallo della seconda guerra mondiale, mettendo insieme un bel palmarès: tre tappe al Giro d’Italia (una nel 1938 e due nel 1940), un Giro di Toscana nel 1938, un Giro del Lazio nel 1939, anno in cui conquistò anche il titolo di campione italiano su strada. Arrivò terzo nella classifica finale del Giro del 1938, dietro Valetti e Bartali, e addirittura secondo al Tour del 1937, alle spalle del francese Lapébie. A carriera finita iniziò una felice attività di costruttore di biciclette, marchiandole col suo nome.
Coetaneo di Vicini, ma forlivese, era Glauco Servadei, anch’egli ottimo comprimario dell’epoca d’oro del ciclismo, tra il 1936 e il 1950. Con la maglia della Gloria, della Bianchi e infine della Viscontea, prese parte a sei Giri d’Italia e a due Tour, vincendo ben sei tappe al Giro (due nel ’37, una nel ’39 e ben tre nel ’40) e due al Tour del 1938: vinse anche un Giro dell’Emilia dal dilettante (1931), una Coppa Bernocchi (1942) e, in coppia con Fiorenzo Magni, il Giro della Provincia di Milano (1943).
Aldo Ronconi era nato nel 1918 a Brisighella (ed è morto a Faenza nel 2012). Ha corso dal 1940 al 1952, con Legnano, Viscontea, Bianchi e Benotto. Buon passista scalatore, fece ottimi piazzamenti al Giro del 1946 (5° e una tappa) e al Tour del 1947, quando giunse 4° vestendo la maglia gialla per due tappe e vincendo la frazione che arrivava a Lussemburgo. Nella Legnano al Giro del 1940 faceva il paio con l’altro esordiente Fausto Coppi: quella volpe dell’Eberardo Pavesi, direttore sportivo della Legnano, aveva escogitato un modo per riconoscere i suoi corridori nel mucchio del gruppo. A ognuno faceva indossare un cappellino di colore diverso. A Ronconi toccò quello nero e da lì nacque il suo soprannome: lo chiamarono “il parroco”. Ma con i preti Ronconi aveva a che fare davvero: il fratello, suo appassionato tifoso, era appunto un sacerdote che pur di seguirlo nell’appassionante Tour del 1947 s’intrufolò nella carovana dismettendo l’abito talare.
Forte al punto da dare fastidio al predominio di Bartali e Coppi, era Vito Ortelli (1921-2017), faentino, che dal 1940 al 1952, con la maglia della Bianchi, della Benotto e dell’Atala, mise insieme belle vittorie: al Giro di Toscana (1942), alla Milano-Torino (1945 e 1946), al Giro del Piemonte (1947), al Giro di Romagna del 1948, anno in cui conquistò anche la maglia tricolore di campione italiano su strada. Era stato tricolore per due volte anche nell’inseguimento su pista (1945, battendo Coppi nella prima gara ufficiale dopo la Liberazione, al Vigorelli di Milano, e 1946). Al Giro del 1946 vinse una tappa e fu Maglia Rosa per tre giorni, arrivando alla fine terzo in classifica generale, dietro Bartali e Coppi.
Durante la guerra, Ortelli partecipò alla Resistenza, come anche un altro “padre nobile” del ciclismo romagnolo, Luciano Pezzi (1921-1998), ravennate di Russi, che dopo l’8 settembre del 1943, scappato in bicicletta da Fiume a casa, si arruolò con il nome di battaglia “Stano” nella 28° brigata della VII compagnia al comando di Arrigo Boldrini. Pezzi, professionista dal 1946 al 1959, con Arbos, Atala-Pirelli, Leo-Chlorodont e Bianchi, corse per dieci volte il Giro e per cinque il Tour, vincendo la tappa di Ax-Les-Thermes nel 1955. Ritiratosi dalle corse, ebbe una brillantissima carriera di direttore sportivo: con la Salvarani guidò Felice Gimondi alla vittoria al Tour del 1965, accompagnando poi Francesco Moser alla Magniflex e alla Famcucine, tra 1979 e 1982; era tra i manager della Mercatone Uno di Pantani e a Pezzi il Pirata era legato da un affetto quasi da nipote: Pezzi morì pochi giorni prima che il Pirata iniziasse il Tour del 1998 e sul podio a Parigi dedicò la propria vittoria proprio alla memoria di Luciano.
Nino Assirelli (1925-2018) era di San Varano di Forlì. Corse per Arbos, Cilo, Legnano e Ignis, dal 1952 al 1962, ma il suo nome rimane legato alla straordinaria vittoria nella tappa Torino-San Pellegrino del 1953 quando scappò dal gruppo dopo soli 7 km e raggiunse primo il traguardo dopo 223 km di fuga solitaria.
Fino a poche settimane fa, Giuseppe Minardi (1928-2019), da Solarolo, era la più vecchia maglia rosa vivente. Professionista dal 1949 al 1958 per la Legnano e la Chlorodont vanta un illustre palmarès di vittorie: sei tappe al Giro (una per ogni anno, dal 1951 al 1956) e due giorni in rosa nel 1954, e poi un Trofeo Baracchi (con Magni, 1951), un Giro di Lombardia, una Tre Valli Varesine e un Giro di Campania (tutti nel 1952), un Giro di Romagna (1953), un Giro della Provincia di Reggio Calabria (1953 e 1956), un Trofeo Matteotti e un Giro del Piemonte (1955), oltre che due secondi posti alla Milano-Sanremo (1952 e 1953).
Imolese è Diego Ronchini (1935-2003), professionista dal 1956 al 1966, con Bianchi, Carpano, Ghigi, Salvarani, Cynar, vincitore di un Giro di Lombardia (1957) e poi di un Giro di Sicilia e dell’Emilia (1958), del Giro del Lazio che nel 1959 assegnava anche il titolo di campione italiano su strada, di un Giro del Veneto e di un Trofeo Baracchi (in coppia con Meo Venturelli, 1960), un Giro dell’Emilia (1961), un Giro di Romagna (1962) e un Giro della Provincia di Reggio Calabria (1963).
La Locomotiva di Forlì è soprannominato Ercole Baldini, classe 1933, che in tre anni, tra il 1956 e il 1958, sembrò spaccare il mondo e inanellò incredibili successi: il record dell’ora (46,394 km), un campionato Italiano su pista, la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Melbourne nella prova su strada (1956), un Campionato del Mondo su pista (1956), due campionati Italiani su strada (1957 e 1958), un Campionato Mondiale su strada a Reims (1958) e il Giro d’Italia (1958); oltre a un Giro di Romagna, un Giro del Lazio, un Gran Premio di Lugano, quattro Trofei Baracchi (nel 1956 in coppia con Coppi), il Grand Prix des Nations (più o meno un Campionato mondiale a cronometro, 1960). Passò come una cometa, veloce e inarrestabile in quegli anni.
Arnaldo Pambianco (1935), da Bertinoro, era soprannominato Gabanéin, dal nome della giacchetta da garzone da macellaio che da ragazzino indossava per fare le consegne a domicilio, proprio con il giovane Coppi. Iniziò la carriera come gregario di Baldini e di Nencini. Arrivato 7° in classifica generale sia al Giro sia al Tour nel 1960, l’anno seguente venne nominato capitano della Fides. E un po’ a sorpresa, battendo il favoritissimo Anquetil, e Charly Gaul, vinse il Giro del 1961, con la maglia della Fides. Memorabile la sua difesa della Maglia Rosa sui tornanti dello Stelvio alla penultima tappa. A lui Raul Casadei ha dedicato una canzone: “Viva Pambianco!”.
E per spingersi verso anni più recenti, nella “Nazionale Romagna” di ciclismo non possiamo non convocare Alfio Vandi (1955) da Santarcangelo, bel passista-scalatore, dodici Giri d’Italia, di cui ben quattro classificatosi nei primi dieci (4° nel 1977, e tre volte 7°); Roberto Conti (1964), faentino, che ha affiancato il suo nome a quello dei più grandi campioni vincendo la tappa dell’Alpe d’Huez al Tour del 1994, e che ha corso insieme a Pantani; come pure gregario del Pirata, e tra gli amici più vicini in corsa, è un altro faentino, Fabiano Fontanelli (1965), professionista dal 1989 al 2003, con ben 4 vittorie di tappa al Giro e bei piazzamenti nelle classiche (6° alla Sanremo, 5° alla Liegi-Bastogne-Liegi e al Giro delle Fiandre) e che adesso lotta contro l’avversario più duro, il Parkinson. O Matteo Montaguti (1984), forlivese, bella carriera alla AG2R la Mondiale, e una sensibilità non comune; o il coetaneo Alan Marangoni (1984), di Lugo di Romagna, ritiratosi in bellezza dalle corse nell’ottobre del 2018, con la sua prima e unica vittoria da professionista al Tour di Okinawa.
Last but not least, Davide Cassani (1961), da Solarolo, bella carriera da professionista (1982-1996: 11 Giri d’Italia e due vittorie di tappa, 9 Tour de France, e poi tre Giri dell’Emilia, due Coppe Agostoni, una Milano-Torino, un Giro di Campania, un Giro di Romagna), grande corridore in corsa al servizio dei campioni, ma con un’intelligenza da fuoriclasse, misurato e colto commentatore televisivo e dal 2014 alla guida del movimento ciclistico nazionale come Commissario tecnico della Nazionale.
Insomma, se non l’avete ancora capito, la Romagna, è terra di ciclisti cortesi, di passista-scalatori: e non poteva che essere altrimenti dal momento che, sempre a dar retta al Pascoli, «Romagna solatìa, dolce paese / cui regnarono Guidi e Malatesta; / cui tenne pure il Passator cortese, re della strada e re della foresta».