La bicicletta non ha avuto vita facile agli inizi della sua storia, anche se l’entusiasmo fu enorme fin da subito, quando quei giovanotti borghesi della Belle Époque cominciarono a scoprire l’ebbrezza della velocità.
Ma quante ossa rotte, quante signore investite, quanti denti scheggiati addosso ai muri: quei ferri – i grand bi con la ruotona davanti e quella piccola dietro – andavano forte ma non erano assolutamente maneggevoli. Che fantastica scoperta la bicicletta! Anche perché stavolta non erano i cavalli a correre ma era semplicemente la forza delle gambe a far prendere velocità a quei mezzi da 30 chili. E poi le ragazze li guardavano ammirate quei funamboli che portavano quegli strani trabiccoli che avevano addosso l’odore di progresso, di onnipotenza, di futuro.
Comunque, si capì fin da subito che quel mezzo di trasporto era talmente affascinante ed efficace che avrebbe mandato in pensione il cavallo di lì a breve. Eh sì, la bicicletta divenne il terrore dei maniscalchi, degli allevatori, dei costruttori di calessi e di tutti quelli che campavano attorno al cavallo, che rischiava seriamente di essere sostituito in men che non si dica da quel nuovo trabiccolo che era la bicicletta. Inizialmente non era considerata proprio un’invenzione per gentiluomini. I benpensanti criticavano aspramente i velocipedisti e li chiamavano “velocipedastri”. Venivano considerati una sorta di demoni a pedali, di manigoldi, una razza da estirpare.
Come se non bastasse, arrivò il momento in cui anche i briganti scoprirono la bicicletta, e fu così che divennero “imprendibili”. Del resto, se un gendarme a cavallo inseguiva un ladro in bicicletta di notte e questo, dopo una rapina, saltava un fosso con la bici in spalla, il cavallo si bloccava sul ciglio e addio ladro. Allo stesso modo, le rudimentali automobili della prima ora erano indubbiamente meno agili e sgattaiolanti di un bandito in bicicletta. Del resto quante volte l’abbiamo sentita la famosa canzone di De Gregori che ci racconta di Costante Girardengo e Sante Pollastri?
«Se di notte è inseguito spara e centra ogni fanale
Sante il bandito ha una mira eccezionale
E lo sanno le banche e lo sa la questura
Sante il bandito mette proprio paura
E non servono le taglie e non basta il coraggio
Sante il bandito ha troppo vantaggio».
E così, un po’ per gli schianti ripetuti (anche dopo l’introduzione del freno), un po’ per la generale diffidenza, un po’ per via di questi briganti ciclisti, le due ruote parteciparono subito allo sport più praticato dalla municipalità italiana in genere: i divieti. In moltissime città si cominciò a vietare la circolazione delle biciclette da tre ore prima del tramonto a un’ora dopo il calare del sole. Ma proviamo a soffermarci un attimo sulla storia, mista di verità e leggenda, di quel personaggio raccontato nella canzone che risponde al nome di Sante Pollastri. O Pollastro, tanto per dire anche sul vero cognome ci sono parecchie diatribe.
figlio del borgo
Sante Pollastri era amico di Costante Girardengo? No. Sante Pollastri conosceva Costante Girardengo? Sì. A Novi Ligure tutti conoscono Costante Girardengo il Campionissimo, difficilmente però i due protagonisti di questa storia si sarebbero potuti frequentare. In effetti i 6 anni di differenza di età erano un’enormità, in quanto quando Girardengo è già famoso Sante è solo un adolescente. Le origini sono comuni. Sante nasce nel Borgo delle Lavandaie, immerso nel fetore delle acque stagnanti. Ha un’infanzia difficile, sempre alla ricerca di qualcosa per sfamarsi. Sembra che i fasti della Belle Époque non siano arrivati a Novi Ligure. È un ragazzo sveglio, con uno sguardo ammaliante dovuto a un leggero strabismo, si diverte con i suoi coetanei, ma già medita piccoli furti per alleviare la fame che gli attanaglia lo stomaco. Ha un’indole da leader, da capobranco.
Novi, nei primi del Novecento, è un importante scalo ferroviario e quindi arrivano e partono le merci dirette alla Liguria o al Piemonte. Sante, che come la maggior parte dei ragazzi del Borgo marina la scuola per prestare servizio come garzone nello scarico e carico delle merci, aveva così l’opportunità di rubare qualcosa o addirittura di svaligiare il convoglio di notte con la compiacenza di qualche addetto alla sorveglianza. La stazione diventa sempre più grande e aumentano così anche i controlli: non potendo più depredare i convogli in stazione, Sante e altri si organizzarono in una banda e diedero l’assalto ai treni durante la corsa.
A quel tempo, al Borgo, gli anziani, i malati e i bambini avevano solo tre opzioni per sfamarsi: o mendicare una porzione di sbobba davanti alla caserma, o affidarsi alla benevolenza del massaggiatore Biagio Cavanna, scopritore di talenti ciclistici, o affidarsi a Sante. Quando la banda compiva un furto era tutto il quartiere a beneficiarne! La grande passione di Sante era il ciclismo e il suo mito era Girardengo. Il ciclismo sembrava essere l’altra opzione possibile per uscire dalla miseria in cui viveva Sante.
Ci ha anche provato e riprovato, il ragazzaccio, seguendo minuziosamente i preziosi consigli di Cavanna: si alimentava correttamente, stringeva forte il manubrio in salita, ma quando c’era da fare la differenza erano i suoi avversari a superarlo. Cavanna, con un passato da ciclista e da boxeur, massaggiando i muscoli di un corridore capiva quando uno aveva le carte in regola per poter diventare un campione: Girardengo aveva gambe e temperamento, Sante solo temperamento.
Sante all’età di 18 anni decide di abbandonare l’idea di correre per potersi sfamare, ma decide che sarebbe stata la bicicletta il mezzo che lo avrebbe messo in salvo dopo una rapina. Trova quindi impiego come cocchiere: accompagna armi e bagagli dei signorotti in villeggiatura nella dimora di campagna e li diverte estraendo la sua pistola, una Flobert francese, facendo strage di lampioni. I suoi clienti sono eccitati, gli pare di essere nel Far West, ignari che poi in autunno – quando le ville sono disabitate – il cowboy gli avrebbe fatto visita, rubando tutto ciò che era trasportabile con la bicicletta: materassi, coperte, biancheria, scarpe. Ma qui siamo ancora a livelli di bassa delinquenza, categoria che era ufficialmente riconosciuta e rispettata nel Borgo: in fondo si rubava per sfamarsi. Girardengo ai suoi gregari diceva che finché si trattava di ladruncoli era ammessa la conoscenza e la tolleranza, quando poi si faceva il salto di qualità e si diventava banditi andava assolutamente troncata ogni tipo di frequentazione.
Il “salto di qualità” Sante lo compie nel 1922 con due episodi. Il primo uscendo da un’osteria. Aveva comprato una caramella che pensava essere al cioccolato e al rum, ma una volta messa in bocca si era rivelata essere al rabarbaro e la sputò per terra fra le gambe di tre soggetti, esclamando: «Boia se è amara». I tre erano camicie nere, lo guardarono e gli chiesero: «Sei Rosso?». Sante rispose: «Ho le mie idee». Le camicie nero lo pestarono a sangue, pensando che il gesto dello sputo fosse una mancanza di rispetto nei loro confronti, rafforzata dal ghigno che non riuscivano a togliergli dal viso.
Il fatto più grave, che darà origine alla latitanza e alla escalation più nera, fu però l’uccisione, durante una rapina a un portavalori, di un ex-maresciallo dei carabinieri. Ne scaturì una colluttazione e da uno dei componenti della banda capeggiata da Sante parti un colpo mortale. Per questo delitto furono arrestati e condannati i due suoi compagni, uno dei quali dopo l’assassinio aveva lasciato la sua bici accanto al corpo dell’ex-maresciallo e aveva preso la sua. Fu facile risalire al proprietario.
IN FRANCIA
Durante la sua latitanza, divisa fra Milano e Parigi, Sante continuò a seguire le imprese del suo eroe Girardengo e si frequentò anche con Cavanna, con il quale rimase rinchiuso per diversi giorni in uno scantinato per sfuggire alle guardie che lo stavano assediando. La sua grande passione per il Campionissimo lo spinse nel 1925 ad andare ad assistere a una Sei Giorni al velodromo di Parigi, dove il Gira, uscito vincitore, veniva acclamato dai tifosi. Dagli spalti si sollevò un “cifulò”, un modo tipico dei novesi di fischiare che ricorda la tromba che chiama l’adunata. Cavanna lo riconobbe, si girò, vide il suo amico Sante e lo invitò a scendere per conoscere Girardengo e festeggiare con loro. Forse per l’euforia della vittoria e per i festeggiamenti, Girardengo venne meno alla sua riservatezza, che gli avrebbe consigliato di non approfondire la conoscenza. Invece, il clima di festa e la vicinanza di uno come lui del Borgo di Novi lo spinse a condividere i festeggiamenti con Sante Pollastri, il più ricercato delinquente assassino tra Francia e Italia. Sante confessò che a uccidere l’ex-maresciallo fu lui, in modo accidentale, e che i suoi complici erano stati condannati ingiustamente. Sante rivelò poi ai suoi che fu un azzardo andare a esporsi così tanto con la Sei Giorni.
Nel 1926 Cavanna fu protagonista del riconoscimento della salma di Sante, presunto suicida. Da ragazzo Sante, mentre svaligiava un convoglio, era rimasto incastrato contro la porta scorrevole del vagone che gli aveva lasciato una cicatrice sul petto. Cavanna, che lo aveva avuto come corridore, lo sapeva benissimo, ma all’atto del riconoscimento del corpo con il volto irriconoscibile, e visto il petto, che invece non riportava lesioni né nuove né vecchie, affermò comunque senza dubbio che si trattava di Sante Pollastri. Fine della storia? No, ovviamente.
Durante la latitanza d’Oltralpe si macchiò di furti eclatanti e nuove uccisioni: per tutti Sante era morto, ma non per il commissario Rizzo, che cominciò a raccogliere informazioni, a verificare i verbali, a esaminare le caratteristiche del presunto suicida, convinto che Sante fosse ancora in vita. Si trasferì allora a Parigi, ben sapendo quali fossero i punti deboli di Sante: la bicicletta e la bella vita. Rizzo iniziò a frequentare i locali battuti dagli italiani a Parigi e ottenne la fiducia della gendarmeria francese. Finalmente in un locale vide Sante: bastò incrociare lo sguardo, senza bisogno di una foto segnaletica, per farlo arrestare più tardi all’uscita di un palazzo. Idolo degli anarchici, perché schierato contro il potere forte dello stato rappresentato da carabinieri e dalla polizia, Pollastri darà spettacolo anche nel processo in Italia, dove verrà estradato dalla Francia, non prima di ricevere una condanna all’ergastolo. Il processo in Italia si trasformerà in un evento giornalistico incredibile, nonostante la censura fascista. Verrà condannato anche qui all’ergastolo. La latitanza di Sante finì nel 1928, anno dell’ultima grande vittoria di Girardengo, la Milano-Sanremo. Uscirà di prigione nel 1959 dopo aver ricevuto la grazia.
Una cosa che accomuna Girardengo e Sante è che entrambi furono disertori ma per ragioni diverse. Nel 1913 il ventenne Costante Girardengo conquistò ad Alessandria il suo primo titolo italiano: uscito senza permesso dalla caserma di Verona, in cui stava svolgendo il servizio militare, fu quindi punito con 15 giorni di prigione di rigore e 30 giorni di prigione semplice. Sante Pollastri, invece, disertò perché convinto anarchico e in prigione ci finì per altri motivi. Chissà se, «dietro la curva del tempo che vola», per dirla con De Gregori, i due si saranno incontrati ancora.