Nelle mostre mercato e nei raduni dedicati al ciclismo d’epoca, si aggira giocosamente uno dei veicoli più curiosi e ingegnosi nella storia della bicicletta: il suo nome è Velocino, e la sua storia è di quelle che vale la pena di raccontare.
È una genesi piuttosto lunga quella che porta alla creazione di questo originale mezzo, riduttivamente e forse anche ingiustamente inquadrato come una bicicletta, anche se è vero che a caratterizzarlo sono due ruote, un sistema di trasmissione collegato a dei pedali, una sella, un manubrio, dei freni, la fanaleria. Solo che nel Velocino, rispetto alle biciclette come le abbiamo sempre viste, tutti questi elementi sono rimescolati tra loro, con un risultato molto più compatto e sicuramente d’impatto.
Se andiamo a vedere la sua genesi, il Velocino s’inquadra nell’evoluzione – in salsa bolognese, e quindi ragù – delle biciclette cosiddette “reclinate”, fenomeno molto interessante nato verso la metà degli Anni ’90 dell’Ottocento grazie a un’idea di Charles Challand, professore a Ginevra, che inventò una bicicletta di questo tipo e la chiamò “Normal bicycle” per via della postura più naturale rispetto a quella proposta dai safety frame introdotti da Starley un decennio prima circa, riconducibili alle biciclette attuali. Fu nel 1933, infatti, che il vulcanico ragioniere Ernesto Pettazzoni, considerato una sorta di enfant prodige dell’imprenditoria per via delle sue idee d’avanguardia e aggressive, fece richiesta di un brevetto britannico per la sua invenzione di un veicolo semi-reclinato, il Velocino appunto.
Il primo prototipo si può far risalire al 1928. Pettazzoni sviluppò poi il proprio veicolo, caratterizzato da un piccola ruota anteriore e da una grande posteriore, su cui sostanzialmente si sedeva il ciclista, con un manubrio collocato alle spalle. Una posizione che in sella era molto naturale, ma anche molto differente da quella di una bicicletta tradizionale. I primi modelli erano sostanzialmente artigianali e la loro costruzione era seguita personalmente dall’ideatore. Fu solo nel 1936 che il Velocino arrivò a una produzione in serie, con tanto di catalogo che ne magnificava le doti. Pettazzoni puntò molto su marketing, e indicò nel Velocino quattro caratteristiche vincenti che lo rendevano migliore della bicicletta: rendimento (perché la pedalata era più efficace), praticità (perché poteva essere facilmente trasportato anche in treno), comodità (per via della postura più naturale) e igiene (anche se in realtà ne magnificava la sicurezza in caso d’incidente). A questo si aggiungevano tre bonus commerciali d’avanguardia: la possibilità di essere acquistato in kit di montaggio a partire dai tubi, la proposta di essere noleggiato agli utenti occasionali da parte dei negozianti, andando poi a pagare con questo sistema l’investimento iniziale, e soprattutto la possibilità di essere acquistato a rate. Il Velocino destò subito molta curiosità ma pare che Mussolini, dopo averlo acquistato e provato, lo definì non proprio entusiasticamente “Lentipede”.
IDEE D’AVANGUARDIA
Pettazzoni aveva la propria officina di produzione a Bologna, in Strada Maggiore 94, e il negozio in via D’Azeglio 16, mentre la sua abitazione era al 4 di via Caprarie, sopra la Galleria Leone. Nelle pubblicità dell’epoca, molto creative e autoironiche, Pettazzoni si lanciava in slogan audaci in cui proponeva l’acquisto a rate, scrivendo nero su bianco che “Il povero Pettazzoni si rovina per voi!”. Tutti quindi presero a chiamarlo in questo modo e la cosa fu purtroppo presagio di sventura: devastata dalla crisi della guerra, che aveva fatto saltare lo schema di pagamento dilazionato, l’azienda di Pettazzoni fallì, e lui si suicidò il 6 di maggio del 1947, travolto dai debiti. Riposa oggi nella Certosa di Bologna. Prima di finire malissimo, comunque, Pettazzoni si dette parecchio da fare, inventando persino la sedia a sdraio.
Il Velocino che vedete in queste pagine appartiene alla collezione di Luca Dolorati di Ferrara, che l’ha inseguito per un po’ di tempo. «Avevo provato un Velocino appartenente all’amico Franco Montolli al Concorso d’Eleganza di Saronno, nel 2022», spiega Luca, «e ho pensato che ne volevo uno anch’io. Ho trovato un’occasione a Milano, l’anno seguente, e dopo una breve trattativa l’ho portato a casa e mi sono dedicato al suo restauro». L’esemplare era in buone condizioni generali, così Luca ha provveduto allo smontaggio per tutte le operazioni di manutenzione e pulizia, trovando sul mozzo del contropedale una punzonatura “36” che può identificare questo Velocino come uno tra i primi della produzione in fabbrica. Il colore giallo è stato mantenuto e con ogni probabilità si tratta di una prima verniciatura, dato che ne sono state trovate tracce anche all’interno del movimento centrale. Altri ritocchi, in un giallo leggermente diverso, sono stati rimossi.
Alcuni dettagli sono stati sostituiti da Luca per ottenere un mezzo più coerente e coevo. La sella presente all’acquisto, una Umberto Dei, è stata sostituita da una a muso di cane. I pedali sono diventati a sei gommini con barra unica, sul parafango è stata messa una gemma bugnata Anni ’30 mentre per le manopole si optato per un modello in corno a due pezzi. Il cannotto di sterzo presenta un fregio con scritto Ghibellini Milano e una punzonatura con scritto “Ghibellini 01018 Extra L”: probabilmente si trattava di un modello assemblato da un rivenditore milanese, forse utilizzato per un noleggio.
Il Velocino è perfettamente pedalabile e Luca ci ha raccontato della sua “prima volta”: «Ho voluto provarlo in centro a Ferrara, in un orario in cui pensavo che ci fosse in giro poca gente. Invece ho trovato la piazza piena e, seppure inizialmente fossi in imbarazzo, in tantissimi mi hanno fermato incuriositi. Qualcuno mi ha anche chiesto di provarlo ma ho dovuto dire di no, perché non è facile da guidare». A distanza di quasi un secolo dalla sua nascita, comunque, l’idea del Velocino resta molto attuale, soprattutto in tempi in cui si parla di intermodalità dei trasporti.
Collezione e foto: Luca Dolorati
Scheda tecnica
Marca: Ghibellini Milano (rivenditore)
Modello: Velocino
Anno: 1936
Telaio: in acciaio
Tipologia: reclinata
Mozzi: FB
Ruote: post. da 26×1 1/2 x1 5/8 x1 1/2, ant. da 12 1/2 x 1.75 x 2 1/4
Sella: a muso di cane con targhetta Velocino fatta in casa
Gruppo luce: Dansi Varese
Gemma posteriore: in vetro bugnato
Manopole: in due pezzi in corno
Accessori: paramanubrio in gomma, campanello con bronzino